All’ospedale di Rho pazienti monitorati ogni ora per uno studio sull’assistenza

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(mi-lorenteggio.com) Rho, 12 novembre 2019 – Un approccio tra più soggetti può migliorare l’esperienza di cura dei pazienti e costruire la loro fiducia, garantendo un’assistenza sicura, affidabile e che allevi la pressione sugli infermieri. Dallo scorso mese di ottobre il personale infermieristico e di assistenza dei reparti di medicina dell’ospedale di Rho, partecipa ad uno studio randomizzato promosso da Fondazione FADOI (Federazione delle associazioni dei dirigenti ospedalieri internisti) in collaborazione con ANIMO (Associazione nazionale infermieri medicina ospedaliera) e l’Università del Piemonte Orientale.

In Italia sono 25 i reparti di Medicina interna, per un totale di circa 970 pazienti, coinvolti nel progetto denominato INTENTO (Intentional Rounding): si tratta di un metodo strutturato attraverso cui gli infermieri conducono “proattivamente” controlli ad intervalli regolari (di una o due ore) sugli ammalati per valutare e rispondere ai loro bisogni assistenziali. Nell’ospedale di Rho, ad oggi, sono 50 i pazienti che hanno aderito al progetto.
La dinamicità dell’ambiente ospedaliero richiede infatti che gli operatori sanitari elaborino nuove strategie per fornire ai pazienti un’assistenza di alta qualità, basata sull’evidenza, sulle esigenze e sulla loro soddisfazione. Le persone ricoverate in fase acuta richiedono trattamenti intensivi ed interventi infermieristici spesso complessi e proprio a causa del loro stato di salute le richieste sono numerose, urgenti e non.
La letteratura suggerisce che la strategia vincente per garantire un migliore assistenza infermieristica sia quella di cambiare la tipologia di approccio passando da quello reattivo a quello pro attivo.
Lo studio ha infatti lo scopo di valutare l’impatto dell’intentional rounding nella pratica assistenziale, con la consapevolezza dell’importanza delle esperienze dei pazienti come aspetto fondamentale della qualità dell’assistenza sanitaria.
Questo nuovo metodo, ancora poco conosciuto in Italia, necessita di studi per verificare la sua potenzialità nel migliorare l’assistenza infermieristica nelle degenze mediche.

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