Autonomia differenziata, evitiamo il rischio dell’ircocervo

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Dibattito con politici e costituzionalisti all’Ambrosianeum di Milano

ASSOEDILIZIA INFORMA

di Saverio Fossati

Ora si comincia a parlarne davvero: il 24 ottobre, presso la Fondazione Ambrosianeum a Milano, si è svolta la tavola rotonda/dibattito sul tema “Autonomia differenziata, tra opportunità e criticità”, organizzata dall’Associazione M’impegno e coordinata dal suo presidente, Carmelo Ferraro.
Dopo il saluto di Mattia Ferrero (presidente Unione Giuristi Cattolici), è intervenuto Fabio Pizzul, Presidente Fondazione Ambrosianeum, ricordando che all’Ambrosianeum il tema delle riforma istituzionale è stato affrontato più volte, come nel 1997 quando l’allora senatore Sergio Mattarella diceva che lo Stato perdeva rilevanze e competenze sia verso l’alto (la Comunità Europea) che verso il basso, (le autonomie locali) e questo non era affatto da considerarsi una diminuzione ma un vantaggio per i cittadini, attraverso la sussidiarietà. Pizzul ha anche ricordato che i livelli equivalenti di prestazioni non saranno a costo zero e che c’è il rischio di una parcellizzazione di regole e normative che potrebbe non favorire lo sviluppo economico dei territori, o addirittura di un regionalismo competitivo.
Leonardo Salvemini (presidente Associazione Mirasole) ha ricordato la storia dell’autonomia regionale e dell’attenzione della Lombardia a questi temi, rispettosa della Costituzione.

La prima relazione è stata di Lorenza Violini (docente di Diritto Costituzionale, Università degli Studi di Milano), che ha affrontato il tema del regionalismo differenziato, richiamando la logica delle intese, contenuta nella Costituzione in riferimento ai rapporti tra Regioni e tra Stato e Regioni. Le norme non erano state pensate per separare l’Italia ma per completare, differenziando, le attività di Regioni così diverse tra loro anche se l’articolo 116, comma 3, della Costituzione, per alcuni era in sé incostituzionale. Ma ci vuole, ha proseguito Violini, un lavoro di fioretto per capire cosa può essere utile e cosa no, non vogliamo tutte le risorse o tutte le funzioni ma solo i pezzi che possono aiutarci. Nelle pre-intese le Regioni si mantennero fedeli a queste intenzioni, a partire dalla formazione professionale. La definizione dei Lep va quindi fatta dallo Stato ma d’intesa con le Regioni, per non creare differenziazioni di cui oggi tanto si parla. In realtà non si tratta della “secessione dei ricchi”. Violini ha anche sottolineato la difficoltà oggettiva di evidenziare i Lep in tutti i settori.

La parola è passata a Silvio Troilo (docente di Diritto Costituzionale, Università degli Studi di Bergamo): “La Costituzione – ha detto Troilo – all’articolo 116, comma 3, dice che ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia possono essere attribuite a Regioni ordinarie che ne facciano richiesta. Sembra chiaro ma non lo è”. L’autonomia differenziata s’incentra infatti sull’individuazione di una serie di profili specifici e dettagliati. Ma si è fatta strada anche un’altra interpretazione, secondo la quale interi settori possono essere trasferiti dalla competenza statale quella regionale, e l’elenco delle materie è molto nutrito, ed è quello delle competenze concorrenti. Ma ce ne sono anche tre che sono addirittura esclusive: tutela dell’ambiente e dei beni culturali, norme generali sull’istruzione e gestione della giustizia di pace.  In particolare, ha spiegato Troilo, lo Stato dovrebbe, per 20 materie su 23, limitarsi a stabilire i princìpi.
In sostanza, per Troilo, l’articolo 116 non è stato formulato pensando a tutte le sue possibili interpretazioni. Sarebbe quindi altamente auspicabile che le Regioni che intendano chiedere maggiore autonomia non chiedano tutto l’ambito ma, in leale collaborazione, solo quei profili che interessano davvero. La logica delle intese è quindi la migliore se si tratta di una sola Regione a chiedere le competenze, ma se sono per esempio due grandi come Lombardia e Veneto, con il 40% del Pil, la fatica aumenta. Ma lo Stato può limitare la trattativa solo ad alcuni ambiti, è nella discrezionalità del presidente del Consiglio. Le risorse, poi, sono contenute nelle leggi di Bilancio e solo quando sono già stabiliti i Lep, che, secondo la Commissione presieduta da Sabino Cassese non sono sempre individuabili. La legge Calderoli rinvia molti aspetti alla trattativa, che non sarà quindi unitaria.

In chiusura è intervenuto  Attilio Fontana (presidente Regione Lombardia): “Il regime centralistico ha distribuito sin ora le risorse non nel modo corretto. Ma le richieste della Lombardia sono partite dopo che il consiglio regionale ha votato nel 2018, all’unanimità, che il presidente della regione chiedesse tutte le 23 materie, in riferimento agli accordi già raggiunti con Bonaccini, Maroni e Zaia, senza bisogno di legge quadro”. Ma la vituperata legge Calderoli, ha spiegato Fontana, è molto più rispettosa delle prerogative parlamentari, che vota l’approvazione dell’accordo.  Lo stesso (allora) ministro Boccia propose una legge identica a quella Calderoli, senza neppure i Lep.
Fontana, poi, in polemica con l’intervento di Troilo, ha puntualizzato che “Se si parla di ‘alcune limitate funzioni’ si rischia di perpetuare la concorrenza e la possibilità di ricorsi alla Corte costituzionale. Non è complicato e inefficiente, si è chiesto Fontana, avere una formazione fatta in parte dallo Stato, cui costa oltre 6mila euro all’anno per studente, e in parte dalle Regioni, cui costa 1.700 euro? O non poter fornire servizi sanitari specifici solo perché lo Stato non se ne è ancora occupato? Fontana ha poi respinto le accuse di “parcellizzazione”, citando Usa e Svizzera, dove la maggiore efficienza si riflette su tutto il Paese.

FOTO

  • Lorenza Violini e Attilio Fontana
  • Attilio Fontana, Silvio Troilo, Carmelo Ferraro
 

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