Conflitto in Medio Oriente: “La pace si costruisce trovando compromessi che non piacciono né all’una né all’altra parte.

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La Comunità internazionale compia scelte decisive. L’unica strada è mantenere viva l’umanità”

Proficuo dibattito il 9 aprile alla presenza di Giorgio Bernardelli, direttore di AsiaNews. Il Sindaco Orlandi: “Non lasciamo crescere l’odio, coltiviamo semi di pace”

(mi-lorenteggio.com) Rho, 11 aprile 2024.  La sera di martedì 9 aprile 2024, la Sala Convegni di Villa Burba ha accolto il partecipato incontro dal titolo “Israele e Palestina: ricercare la pace dentro al conflitto”. Al tavolo dei relatori Giorgio Bernardelli, direttore di AsiaNews, profondo conoscitore delle dinamiche del Medio Oriente. A moderare la serata l’assessore alla Pace Paolo Bianchi, che ha spiegato: “Non vogliamo cadere nell’errore di pensare che questo conflitto ci sia sempre stato, non vogliamo darlo per scontato. Vogliamo capire, per non sentirci assuefatti dalla violenza a cui assistiamo. Vogliamo trovare strade per cercare pace nel conflitto, per questo da settimane rilanciamo la richiesta di cessare il fuoco e Villa Burba è illuminata con le luci della bandiera della pace”.

Paola Cupetti, dell’Ufficio Cerimoniale del Comune di Rho, ha ricordato che la serata è nata in collaborazione con il coordinamento ANPI delle Sezioni del Rhodense. Bernardelli ha ricostruito la storia della piccola fetta di terra che si affaccia sul Mediterraneo a partire dalla fine del 1800, ricordando come negli anni della Prima Guerra Mondiale l’Inghilterra avesse favorito sia la nascita degli insediamenti ebraici in Israele sia la nascita del nazionalismo arabo, per contrastare gli Ottomani. 

Le diatribe non nascono dal 1948, anno di costituzione dello Stato di Israele – ha precisato – Ci sono responsabilità storiche profonde in questa gigantesca tragedia. Un primo conflitto si ebbe tra 1948 e 1949 con gli Stati arabi confinanti. L’armistizio del 1949 disegnò la West Bank, odierna Cisgiordania, e la Gaza Strip. Gaza era un porto e un crocevia da millenni, per il passaggio di persone e merci dall’Egitto alla Turchia.  L’Egitto non lasciò passare i profughi e già allora nacquero i primi campi”. Poi nel 1967 la Guerra dei sei giorni con Egitto, Giordania e Siria, a causa del controllo militare che Israele voleva imporre.  Quindi l’invio dei coloni in Cisgiordania, fino a ridurre progressivamente la presenza palestinese. Nel 1987 la prima Intifada, nel 1993 gli accordi di pace di Oslo con Rabin e Arafat protagonisti.“Allora iniziò il terrorismo suicida, anche contro la leadership di Arafat. Hamas lavorava contro la logica di “due popoli in due Stati” – ha continuato Giorgio Bernardelli – Rabin venne ucciso da un fanatico della destra israeliana. Anni difficili, fino al 2000 quando venne costruito il muro alto 12 metri a separare i due popoli. Si è creato un mondo in cui si vive senza la possibilità di capire chi si trova dall’altra parte. Per troppo tempo ci si è dimenticati di questo angolo di mondo, era evidente che prima o poi la situazione sarebbe esplosa. Il 7 ottobre 2023 è iniziato un nuovo conflitto che ha portato 25mila morti tra i palestinesi e 1.500 tra gli israeliani. Ora sono forti le pressioni per un cessate il fuoco, le trattative sono serrate. Ma si vivono due guerre diverse: il premier Netanyahu dice di voler cancellare Hamas, ma la sua idea di colpire tunnel su tunnel non ha senso; Hamas ha l’obiettivo di sopravvivere mostrandosi forte, non importa quante morti questo possa costare. Il problema è trovare una formula che permetta a entrambi di salvare la faccia. La risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, su cui gli Usa per la prima volta non hanno posto il veto, dimostra che il clima sta cambiando. In Israele pesa il dramma degli ostaggi. Si parla di una tregua di sei settimane per liberarli e lavorare alla pace. L’errore è stato lasciare che la situazione si deteriorasse, per arrivare al 7 ottobre: ora basta ipocrisie. Si è ripetuto il mantra “due popoli in due Stati” per far contenti tutti, senza assumere mai decisioni. E’ venuto il momento di sedersi a un tavolo e capire come eventualmente suddividere i territori. Questa immensa tragedia deve insegnare qualcosa a chi ha potere di decidere, in Italia e su scala internazionale”. 

Bernardelli ha citato l’esperienza del cardinale Carlo Maria Martini, nel periodo vissuto a Gerusalemme: “Disse che cercava di avere lo sguardo dell’intercessore che prova a mettersi nel mezzo delle barricate. Il dolore non è una gara, occorre curare le ferite di tutti. Se capisci il dolore dell’altro, riesci a vedere le contraddizioni anche dalla tua parte. C’è un villaggio in Israele dove ebrei e arabi vivono insieme, in modo paritario. Non vige l’idea del peace and love, si prova a fare i conti con il conflitto che ciascuno avverte. Il conflitto si affronta provando a farsi carico delle ragioni dell’altro. Questo salvaguarda l’umanità. Piccoli gesti cambiano le cose, come quelli di ebrei ortodossi e cristiani che hanno offerto datteri in questi giorni a chi usciva dalla moschea dopo la preghiera del Ramadan. Qualcuno cerca di aprire lo sguardo sull’altro. L’unica strada è mantenere viva l’umanità. Proviamo a dirci che Gaza non è un posto maledetto ma una speranza si può riaccendere”.

 Nel dibattito diversi gli interventi relativi alla posizione di Netanyahu, alle proteste delle università, al ruolo di Hamas, alla possibilità di offrire aiuti concreti alla popolazione di Gaza.“Il cessate il fuoco deve essere imminente, c’è il rischio che il conflitto si allarghi – ha invocato Mario Anzani, presidente di ANPI RHO – Un nuovo ordine di pace non nasce senza un ordine internazionale. Le risoluzioni dell’Onu non possono restare carta straccia. L’Europa dica che o entrambi gli Stati devono avere la loro terra o nasca uno stato federale in cui popolazioni di religioni diverse possano convivere senza problemi”. 

Non è vero che i palestinesi siano tutti in linea con Hamas, sarebbe bello se potessero esprimersi liberamente. Le tante rivolte di giovani sono state stroncate – ha concluso Bernardelli – La più grande minaccia al futuro di Israele sono i vent’anni di governo di Netanyahu, che è la rovina di un Paese spaccato. Dopo gli ultimi cinque appuntamenti elettorali hanno imbarcato gli impresentabili che per Rabin erano fuorilegge. Israele ha bisogno di ridefinire cosa voglia essere oggi. Uno stato di ebrei? E chi ebreo non è? Se non trova il dialogo, si distrugge da solo. Una alternativa è uno stato binazionale: tutti uguali con tutti i diritti, ma con quali garanzie? La pace nasce a partire da compromessi a volte deludenti. Pensiamo ai Balcani, gli accordi erano orribili ma reggono”. 

A trarre le conclusioni il Sindaco Andrea Orlandi: “Tutti chiediamo che si ponga fine al conflitto armato. Difficile prendere posizione. Come dico ai bambini, io sono contro la guerra. In questo momento sono per la Palestina perché lì stanno morendo decine di miglia di bambini. Tutte le guerre generano e continuano a generare odio. Se sei un bimbo che è rimasto ferito o hai visto uccidere i tuoi genitori da un cecchino non puoi che continuare a entrare in una spirale di odio: il presidente Mattarella ci ha chiesto di coltivare anche da noi semi di pace, nelle nostre comunità. Il confronto ha offerto spunti interessanti e stimolanti, rifletteremo su quanto emerso”. 

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