(Mi-lorenteggio.com) Milano, 22 gennaio 2024 – L’intervento della Presidente del Consiglio comunale, Elena Buscemi, in apertura della seduta dedicata al linguaggio d’odio.
“In occasione dell’avvicinarsi della ricorrenza del Giorno della Memoria, il 27 gennaio, ho voluto promuovere questo Consiglio Comunale sul tema del linguaggio d’odio perché credo possa rappresentare per tutti noi un momento di riflessione e di confronto su un fenomeno che esiste in parte da sempre, ma che negli ultimi anni ha indubbiamente assunto una dimensione e una diffusione maggiore.
Lo sappiamo tutti, il linguaggio è il modo in cui nominiamo e descriviamo il mondo e le parole possono avere grande pervasività e influenza.
Non è affatto casuale che la persecuzione nazista nei confronti degli ebrei sia iniziata proprio con le parole: esse hanno costituito la base sulla quale si sono poi innestate progressivamente le azioni, che le parole, appunto, hanno preparato e introdotto.
Oggi assistiamo purtroppo ad un ritorno di parole aggressive e intimidatorie che richiamano alle pagine terribili dell’antisemitismo. Non solo: commenti sessisti, insulti razzisti, attacchi omofobici non sono fenomeni isolati.
L’aumento di pubbliche espressioni di incitamento alla violenza va a combinarsi con la diffusione di false notizie alimentando e trasformando problemi complessi in slogan intolleranti.
Le parole infatti possono essere scagliate e usate contro gli “altri” per deriderli, ferirli, umiliarli, e ancor più per rinchiuderli in ruoli e posizioni di inferiorità. Questo linguaggio che irride la vita delle persone e punta a screditarle e offenderle, di fatto infrange quegli argini morali costruiti nel secondo Dopoguerra, indispensabili per proteggere le minoranze e i gruppi discriminati, dagli ebrei agli immigrati ai Rom. E in questo contesto, oggi non vanno dimenticate le donne – dato che il 63% del discorso d’odio in Italia è diretto contro di loro. Negli ultimi anni abbiamo assistito anche a forti attacchi contro i rappresentanti della comunità scientifica. Perché la stessa evoluzione scientifica viene vista come un pericolo, uno spazio che va dunque compresso e denigrato.
Se le parole possono essere quindi potenti strumenti di oppressione, questa fenomenologia dell’odio in Rete e non solo in rete, diventa davvero molto pericolosa, per via della facilità e della velocità dei messaggi che ciascuno di noi può veicolare attraverso gli strumenti e i mezzi della comunicazione digitale. Spesso, di fronte a questi meccanismi mancano mediazioni e filtri efficaci, e la responsabilità individuale sembra difficilmente perseguibile. Esistono leggi ma non ancora sufficientemente conosciute.
La Commissione europea ha di recente e, direi, finalmente adottato una regolamentazione sul discorso d’odio online, che indubbiamente aiuta a intervenire su una materia molto complessa che vede intrecciare normative nazionali differenti, definizioni diverse di discorso d’odio. Pone, inoltre, la necessaria distinzione fra libertà di espressione e un principio altrettanto importante per una società democratica: l’uguaglianza dei cittadini, che viene sistematicamente ferita quando si denigrano persone o gruppi in base alla loro appartenenza etnica, politica, religiosa, di genere.
È evidente, dunque, che ci troviamo di fronte a un tema complesso da affrontare anche e soprattutto perché l’impianto giuridico legislativo delle società cambia molto più lentamente di quanto non facciano tecnologia e digitalizzazione, che offrono indubbiamente grandi libertà e opportunità.
Servono forse quindi anche strumenti nuovi, in un contesto in cui non ha più senso parlare di una società interna e di una esterna alla Rete, essendo queste sempre e costantemente in relazione e certamente non è utile alla discussione e alla risoluzione dei problemi demonizzare le piattaforme.
Come fare dunque di fronte a fenomeni così controversi? Quali azioni si possono mettere in campo?
Oggi i nostri ospiti, che ringrazio sentitamente per la disponibilità e il supporto, ci aiuteranno ad affrontare il problema sotto diversi punti di vista, dato che bisogna agire su livelli diversi.
Credo infatti sia importante avere occasione di dibattito e di confronto anche qui in Consiglio Comunale, perché chi parla, soprattutto se da posizioni di rilievo in termini decisionali e comunicativi, o in contesti istituzionali, ha una responsabilità maggiore. Le parole che usiamo permeano il dibattito pubblico, lo influenzano al punto da condizionarne toni e modi. E non sempre la politica è stata esemplare in questo.
Anzi, è accaduto che proprio alcuni politici a tutte le latitudini, attraverso i partiti, che avrebbero dovuto arginare certe pulsioni o tendenze, le abbiano invece alimentate, facendosi portavoce e cassa di risonanza di aggressività latente o soffiando sul malumore sociale.
Il passaggio, quasi sempre automatico, poi oggi dai social network ai mass media tradizionali, offre un ulteriore canale di propagazione alle stigmatizzazioni e ne favorisce la legittimazione. L’esigenza di tutelare la libertà di espressione è spesso evocata dagli editori e dai giornalisti dei media tradizionali per giustificare la visibilità mediatica assicurata ai discorsi politici discriminatori, producendo una sorta di “normalizzazione” di espressioni e parole inaccettabili.
Il mondo che ci circonda impone quindi una crescente attenzione all’uso del linguaggio, alle conseguenze che possono avere le parole, all’imprevedibile corposità delle stesse, proprio quando la Rete ci fa avere invece l’impressione che le parole siano sempre più smaterializzate. È piuttosto vero il contrario. Bisogna rinnovare e accentuare l’attenzione a quello che diciamo e anche a come lo diciamo. Ovunque, nelle assemblee elettive, sui giornali, sui social media e sulle chat.
Per questo mi piacerebbe che il Consiglio Comunale potesse continuare a seguire la strada percorsa in questi anni nell’approfondire il tema, magari dando a questo percorso un carattere più strutturale e permanente con una Commissione consiliare dedicata o attraverso le forme che crederà opportune, utilizzando le mappe che ne segnalano la diffusione e ipotizzando in collaborazione con la Giunta e con i Municipi, azioni che possano aiutarne il contrasto.
Chiudo ringraziando la Professoressa Claudia Bianchi dell’Università San Raffaele, la Professoressa Marilisa D’Amico dell’Università Statale e la Professoressa Silvia Brena dell’UCSC per la loro disponibilità nella costruzione di questa iniziativa, segno ulteriore della collaborazione fra Comune e Università”.
Redazione