SatisFACE: lo studio dell’Università Vita-Salute San Raffaele smitizza l’ossessione da selfie

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e il rischio di isolamento da social nei giovani e nei giovanissimi

I preadolescenti, gli adolescenti e i giovani adulti usano i social media e scattano selfie per fare “community”

Presentati i risultati del progetto di UniSR che promuove il Digital Wellbeing

(mi-lorenteggio.com) Milano, 30 ottobre 2024 – Cresciuti con la tecnologia, la usano per connettersi agli altri in modi nuovi. Sono i giovani – e i giovanissimi – della generazione Alpha (fino ai 14 anni) e Zeta (più di 14 anni), sotto la lente di ingrandimento del progetto SatisFACE di UniSR – Università Vita-Salute San Raffaele,ideato dal Centro Universitario di Statistica per le Scienze Biomediche (CUSSB) e realizzato in collaborazione con ricercatori della Facoltà di Psicologia dell’Università Vita-Salute San Raffaele (UniSR) e della Facoltà di Biomedicina dell’Università della Svizzera Italiana (USI).

A un anno e mezzo dalla pubblicazione dei risultati preliminarilo studio interdisciplinare di valutazione quali-quantitativa dell’impatto delle tecnologie digitali sull’immagine di sé, anche come possibile predittore di eventuali disagi psicologici, soprattutto in età pre e post adolescenziale, prosegue con nuovi target di riferimento e focus di indagine e con nuovi risultati, presentati ieri presso l’Aula Newton dell’Università Vita-Salute San Raffaele, in un evento multidisciplinare organizzato nell’ambito del Festival della Statistica e della Demografia 2024, promosso dalla Società Italiana di Statistica (SIS), dall’Istituto Nazionale di Statistica (Istat) e dalla Società Statistica Corrado Gini.

Nel 2024, il progetto ha coinvolto, tramite survey online, oltre 1.600partecipanti: 1.208 preadolescenti e adolescenti, tra i 12 e i 21 anni, studenti di scuole medie inferiori e superiori lombarde, e 399 giovani adulti, tra i 18 e i 30 anni, grazie alla collaborazione con l’Università Roma Tre.

L’uso dei social si conferma molto diffuso nei ragazzi, ma come immersione in microcomunità di amici, smentendo l’opinione dominante che ne enfatizza i rischi di isolamento.

Dallo studio emerge, infatti, che i preadolescenti e gli adolescenti li usano per comunicare tra loro: come si dice nel linguaggio 2.0, “seguono” (ricambiati) amici e conoscenti, oltre che influencer e pagine di sportivi e “sono seguiti” dalla famiglia. Analogamente, i giovani adulti riportano principalmente di visualizzare contenuti postati da coetanei e da personaggi famosi.

Per entrambe le fasce di età sembra esserci, insomma, corrispondenza fra relazioni sociali reali e virtuali, pur trattandosi di una socialità mediata e, quindi, sottoposta alle regole, anche di velocità, di questo strumento di comunicazione.

WhatsApp è l’App di messaggistica preferita, utilizzata ormai, sempre di più, come social network, grazie anche alle nuove feature, che consentono di creare microcomunità, di condividere file multimediali e ingenerare interazione. I contatti sono selezionati dagli utenti, consentendo così di riprodurre dinamiche sociali reali.

TikTok, YouTube, Instagram e BeReal sono i social media più utilizzati per la fascia di età 11-13, mentre la classifica dei ragazzi più grandi, tra i 14 e i 18 anni, mette al primo posto Instagram, seguito da TikTok, YouTube e BeReal. Tra i 18 e i 30 anni, i social media più popolari sono Instagram, TikTok, YouTube e Facebook, quest’ultimo completamente assente nei gusti dei giovanissimi.

Ma il focus dello studio di UniSR è quello relativo all’indagine dell’immagine che i giovani hanno di sé nei cosiddetti “selfie”, gli autoritratti realizzati attraverso una fotocamera digitale compatta, uno smartphone, un tablet o tramite webcam. Gli autoscatti preferiti dagli adolescenti sono quelli allo specchio, scattati con amici, ad un evento e in gruppo, a conferma che le tecnologie digitali sono approcciate dai giovani per creare una community e restare in continuo contatto. La classifica cambia nei giovani adulti, che amano immortalarsi, nell’ordine, con il proprio animale domestico, ad un evento, con gli amici e davanti a un panorama o a un monumento. Insomma, per i giovani, scattarsi un selfie è un nuovo modo di comunicare, per raccontare “cosa sto facendo, con chi sono e dove sono”. Il selfie narcisistico, in cui ci si ritrae da soli e solo per esibizionismo, non risulta prevalente, segno che l’ossessione per la propria immagine è un concetto che non appartiene alle nuove generazioni.

Sempre con riguardo ai selfie, gli autoscatti vengono editati dal 43.7% dei preadolescenti e degli adolescenti che li scattano (1.156 in tutto), percentuale che si alza al 48.8% per i giovani adulti (396 hanno dichiarato di utilizzarli). Andando ad indagare i motivi dell’editing, si vede che quello di evidenziare caratteristiche estetiche, comune ad entrambe le fasce di età, è al secondo posto nei preadolescenti e negli adolescenti, mentre sale in pole position nei giovani adulti, seguito dalla volontà di apparire come si vorrebbe, nascondendo i difetti. La cosiddetta “beautification”, come tendenza ad un modello estetico ideale, è assente invece nei giovanissimi, che editano semplicemente perché non piace l’immagine prima di modificarla o solo per abitudine, anche se soddisfatti della foto.

Da sottolineare che, tra chi edita, il 43.4% degli adolescenti e preadolescenti e ben il 64.4% dei giovani adulti, si preoccupa raramente, o addirittura mai, che il proprio volto si uniformi ad un modello standard. Caratteristiche come la pelle liscia, gli occhi grandi e il naso sottile, percepite dagli algoritmi come ideali e proposte come tali agli utenti nel momento dell’editing, conducono inevitabilmente ad una regressione verso un “canone estetico algoritmico”, in un appiattimento dell’eterogeneità naturale dei volti. La generazione 2.0, attentissima alla valorizzazione culturale delle diversità, non sembra quindi preoccuparsi molto dell’omogeneizzazione estetica del fotoritocco.

Quanto all’età media del primo utilizzo social media, il 29.9% dei giovani adulti intervistati confessa un accesso precoce, con la prima App scaricata prima dei 13 anni, una percentuale che sale in impennata nei preadolescenti e negli adolescenti: il 70.2% di loro riporta di aver iniziato ad utilizzare i social prima dei 13 anni.

“Lo studio dell’uso dei social, dell’impatto delle tecnologie sul benessere è estremamente complesso, non solo per l’intrinseca eterogeneità dei comportamenti, ma anche perché non può prescindere dalla valutazione dei fattori ambientali. Utilizzando tecniche statistiche avanzate, si è visto che, se il supporto sociale percepito dall’adolescente è alto, si innesca un circolo virtuoso, per cui la preferenza per le interazioni online si riduce, la tendenza a ricorrere ai social come strumento di ‘mood regulation’ mostra una leggera diminuzione, migliorano le relazioni a scuola – con i pari e con i docenti –, i sintomi internalizzanti e l’ansia da aspetto si riducono, e la ‘chiarezza del sé’ migliora. Al contrario, se i ragazzi percepiscono di essere trascurati dai genitori, intenti ad interagire con lo smartphone piuttosto che con loro, peggiora il supporto sociale percepito dalla famiglia e, con esso, peggiorano tutta la sfera psicologica (i sintomi internalizzanti e l’ansia da aspetto aumentano) e la consapevolezza del proprio io, mentre aumentano la preferenza per le interazioni online, la tendenza a ricorrere ai social come strumento di autoregolazione emotiva e aumenta il tempo trascorso online in generale e la preferenza per TikTok. Dallo studio emerge, inoltre, che nel cosiddetto ‘phubbing genitoriale’ (combinazione anglofona di ‘phone’ e ‘snubbing’), o meglio nella percezione del giovane di essere ignorato dal genitore a causa della sua interazione con lo smartphone, la scuola – ed in particolare il rapporto con i docenti – viene percepita come una comfort zone”, ha dichiarato la coordinatrice dello studio, professoressa Chiara Brombin, associata di Statistica presso la Facoltà di Psicologia di Università Vita-Salute San Raffaele, sottolineando la parte che considera più significativa nello sviluppo del progetto SatisFACE, vale a direla valutazione del supporto sociale percepito dai ragazzi nell’utilizzo delle nuove tecnologie.

Per ulteriori informazioni, consultare il sito https://satisface.net/


Il Comitato Scientifico del progetto è costituito dai professori Chiara Brombin, coordinatrice di SatisFACE, associata di Statistica presso la Facoltà di Psicologia di Università Vita-Salute San Raffaele e coinvolta nelle attività di ricerca del Centro Universitario di Statistica per le Scienze Biomediche (CUSSB), Clelia Di Serio, ordinaria di Statistica Medica presso la Facoltà di Psicologia di Università Vita-Salute San Raffaele e direttore del Centro Universitario di Statistica per le Scienze Biomediche (CUSSB), Antonio Nizzoli, Docente di corsi di comunicazione mediatica presso l’Università Vita-Salute San Raffaele, Valentina Tobia, associata di Psicologia dello sviluppo e psicologia dell’educazione e membro del Child in Mind Lab, Università Vita-Salute San Raffaele, e dalle dottoresse Chiara Ferrero, psicologa, referente field project per il master Cognitive Psychology in Health Communication presso l’Università della Svizzera Italiana (USI) e presso Università Vita-Salute San Raffaele, e Simona Scaini, tenured lecturer in Psicologia e Psicopatologia dello Sviluppo e Vicedirettore del Dipartimento di Psicologia di Milano della Sigmund Freud University. Collaborano al progetto studentesse e tirocinanti presso l’Università Vita-Salute San Raffaele: Carla Blandino, Agnese Cremona, Mariavittoria Bianchini. Hanno contribuito la professoressa Paola Vicard e lo studente Damiano Russomanno del dipartimento di Economia dell’Università Roma Tre.

Università Vita-Salute San Raffaele (UniSR) è un’università di eccellenza inaugurata nel 1996 e riconosciuta a livello internazionale per l’alta qualità della sua ricerca e didattica. Con oltre 6.400 studenti iscritti, UniSR offre corsi di laurea triennale e magistrale, scuole di specialità, master post-laurea e programmi di dottorato. L’Ateneo si caratterizza fin dalla sua origine per una forte integrazione tra la ricerca in ambito biomedico e quella in ambito socio-psicologico e filosofico, nella convinzione che il miglioramento della condizione umana non possa prescindere da nessuna di queste tre dimensioni. L’attività di ricerca biomedica di UniSR – traslazionale e ad alto contenuto tecnologico – è condotta in sinergia con IRCCS Ospedale San Raffaele, tra i più importanti ospedali di ricerca del Paese.

Redazione

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