Quirinale. Cerimonia di consegna delle “Stelle al Merito del Lavoro” per l’anno 2024

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(mi-lorenteggio.com) Roma, 17 ottobre 2024 – Si è svolta questa mattina al Palazzo del Quirinale, alla presenza del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, la cerimonia di consegna delle Stelle al Merito del Lavoro per l’anno 2024.

Nel Salone dei Corazzieri sono intervenuti il Presidente della Federazione Nazionale Maestri del Lavoro, Elio Giovati e il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Marina Calderone.

Il Presidente Mattarella, coadiuvato dal Ministro Calderone, ha quindi consegnato le Stelle al Merito del Lavoro per l’anno 2024.

Al termine della cerimonia il Capo dello Stato ha pronunciato un discorso.

Erano presenti il Presidente della Camera dei Deputati, Lorenzo Fontana e il Vice Presidente del Senato della Repubblica, Gian Marco Centinaio.

IL DISCORSO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Rivolgo un saluto cordiale al Presidente della Camera dei deputati e il Vicepresidente del Senato.

A tutti i presenti.

Benvenuti.

Saluto e ringrazio la Ministra del Lavoro e il Presidente della Federazione nazionale dei Maestri del lavoro per le considerazioni che hanno svolto.

Presidente Giovati, grazie per questi 70 anni di testimonianza così ampia, così riconosciuta, così importante per il Paese che è stata fornita costantemente dall’opera dei Maestri del lavoro, per il ruolo che svolgono nel nostro Paese e nella nostra società.

Rivolgo un benvenuto, nuovamente, e rinnovo le congratulazioni, appena espresse, a chi è stato insignito delle “Stelle al Merito”, che sono il coronamento di una vita di lavoro fatta di professionalità, di dedizione, intessuta di quell’etica che i Maestri del lavoro intendono continuare a esprimere per rafforzare il senso di comunità e per trasmettere il testimone ai giovani.

Desidero esprimere i sentimenti più intensi di vicinanza e di solidarietà ai familiari dei lavoratori morti sul lavoro, a cui è stata conferita la Stella al Merito alla memoria.

La Stella rappresenta un riconoscimento, un segno importante.

Costituisce inoltre un pegno che invita istituzioni e società a rendere il lavoro sicuro, contrastando morti e infortuni.

Una piaga intollerabile. Ancor più nel tempo dei più grandi progressi tecnologici e dei più grandi avanzamenti della conoscenza, che la storia dell’uomo abbia mai conosciuto.    

La vita delle persone vale immensamente più di ogni profitto, interesse o vantaggio produttivo.

È la persona, ogni persona, cuore e fine dell’ordinamento democratico che tiene uniti i propositi di piena libertà e di effettiva uguaglianza.

La centralità del lavoro si basa sulla centralità della persona umana.    

Della dignità della persona il lavoro è indubbiamente caposaldo.

Il lavoro è condizione di indipendenza, economica. Ma non soltanto di questo.

È una leva per accrescere i diritti, individuali e collettivi.

Così è stato nella storia della nostra Repubblica.

Il lavoro è stato il motore principale dello sviluppo del Paese e della crescita umana, civile, sociale e culturale che ha consentito una diffusa emancipazione da condizioni di povertà e di subalternità.

Con il lavoro, con l’apporto decisivo delle organizzazioni dei lavoratori, si è costruito il welfare italiano, elemento basilare dei diritti di cittadinanza. 

Il lavoro sta cambiando: è sotto gli occhi di tutti.

È sempre cambiato nel corso della storia. Oggi invece avviene a ritmo di gran lunga più veloce.

E cambierà tante altre volte.

Tuttavia l’impegno dell’uomo per costruire il futuro, per modellare con la propria fatica, il proprio impegno, il destino proprio e della comunità in cui vive, non avrà termine.

Il lavoro sarà strumento irrinunciabile della libertà anche in futuro.

I dati dell’occupazione, nel nostro Paese, segnano una crescita che conforta.

Tuttavia l’occupazione – non soltanto nel nostro Paese – si sta frammentando, con una fascia alta, in cui a qualità e professionalità corrispondono buone retribuzioni, mentre più in basso si creano sacche di salari insufficienti, alimentati anche da part-time involontari, e da precarietà. Si tratta di elementi preoccupanti di lacerazione della coesione sociale.

È la condizione che riguarda anche molti immigrati, sovente esposti a uno sfruttamento spietato, inconciliabile con la nostra civiltà.

L’obiettivo della massima occupazione è possibile. È iscritto in un orizzonte costituzionale, che non può che essere condiviso dai programmi delle varie posizioni politiche.

La Costituzione non ha soltanto affermato il diritto al lavoro.

Lo ha posto a fondamento della Repubblica democratica.

Una scelta lungamente meditata.

Fortemente voluta. 

Capace di unire le diversità.

Concepita come pietra angolare della comune convivenza.

Come radice significativa del modello sociale.

La formulazione dell’articolo 1 trovò il più largo consenso; e, da sola, spiega la differenza, il salto di qualità che avvenne con la scelta repubblicana.

La propose, quella formulazione, Amintore Fanfani illustrandola così: “Dicendo che la Repubblica è fondata sul lavoro si esclude che essa possa fondarsi sul privilegio, sulla nobiltà ereditaria, sulla fatica altrui e si afferma invece che essa si fonda sul dovere, che è anche diritto ad un tempo, per ogni uomo, di trovare nel suo sforzo libero la sua capacità di essere e di contribuire al bene della comunità nazionale”.

Non fu – e non è – una scelta simbolica.

La parola lavoro, con i suoi derivati, è collocata in 15 articoli della nostra Costituzione.

Nello Statuto Albertino il termine lavoro era presente una volta soltanto, all’art. 55, e non per enunciare diritti o prerogative o garanzie dei cittadini/lavoratori, ma soltanto per indicare che, alle Giunte nominate all’interno della Camera, erano affidati i “lavori preparatorii” delle proposte di legge.

L’art. 3 della Costituzione, invece, assegna alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli economici e sociali, che, limitano libertà ed eguaglianza, impedendo il pieno sviluppo della persona.

Lo segue l’art. 4, che riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e richiede di promuovere le condizioni che lo rendano effettivo.

L’art. 35 affida alla Repubblica la tutela del lavoro in tutte le sue forme e applicazioni e la cura della formazione e dell’elevazione professionale dei lavoratori.

L’art. 36 riconosce al lavoratore il diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e, comunque, sufficiente ad assicurargli, per sé e per la sua famiglia, un’esistenza libera e dignitosa.

Stabilisce anche la nostra Costituzione – all’art. 37 – che la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, deve avere le stesse retribuzioni che spettano ai loro colleghi di genere maschile.

Sappiamo che il cammino per giungere al rispetto di questo principio è tuttora incompiuto, da concludere, ma va ricordata questa prescrizione e il conseguente dovere delle istituzioni di operare per renderla ovunque effettiva.

La nostra Carta prosegue, all’art. 38, disponendo che ogni cittadino inabile al lavoro o sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale; e che tutti i lavoratori “hanno diritto a mezzi adeguati in caso di infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia; o disoccupazione involontaria”.

Concludo questo elenco di citazioni – peraltro incompleto – ricordando che le Regioni – in base all’art. 120 – non possono adottare provvedimenti che ostacolino, in qualsiasi modo, la libera circolazione delle persone e delle cose; e neppure limitare l’esercizio del diritto al lavoro in qualunque parte del territorio nazionale.

Si tratta di una sequenza di prescrizioni costituzionali di grande rilievo, per quantità e qualità, che delinea il lavoro come nervatura della vita di comunità.

Costantino Mortati, grande giurista, che della Costituente è stato protagonista autorevole, indicò l’intesa sull’articolo 1 – la scelta di porre il lavoro alla base della democrazia da costruire – come una connessione di tipo nuovo tra la società e lo Stato.

Condividere l’idea del lavoro come fondamento voleva dire avviare un percorso di ricomposizione della base sociale e della unità, anche morale, del Paese.

Un percorso nel quale la democrazia alimenta equità e libertà.

Una libertà uguale. Una dignità uguale.

Anche voi, Maestri del lavoro, avete riflettuto sull’umanesimo del lavoro.

Una scelta felice, perché, in questo cambiamento d’epoca, non dobbiamo smarrire la strada dei valori.

Non deve mai sfuggire che ad animare il lavoro c’è “la persona che lavora”.

L’onorificenza di Maestri del Lavoro afferma il ruolo dei lavoratori nella vita della società e il loro contributo decisivo al successo delle imprese.

La motivazione etica che vi spinge a continuare, oltre la carriera lavorativa, nell’impegno per la formazione dei giovani, per la trasmissione dei valori di convivenza è, in grande misura, altamente apprezzabile.

La Repubblica vi è grata per quel che fate nei diversi territori, nei diversi ambienti, a cominciare dalla scuola.

Quando si parla di sostenibilità si intende anzitutto che la crescita non può più avvenire a discapito dell’ambiente.

Ma sostenibilità non è soltanto questo. Non include soltanto questo indispensabile aspetto.

È anche equilibrio sociale, capacità di rinnovare e rafforzare i presupposti di valore della democrazia e della libertà.

Il valore del lavoro come fattore di ricomposizione della società va, dunque, ribadito e, se necessario, riscoperto.

Si avverte, intensamente, la necessità di una spinta dalla base della società, a cui voi generosamente vi dedicate.

La vostra azione conferisce fiducia, dona speranza.

La Repubblica conta sul vostro impegno.

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