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martedì, Ottobre 8, 2024

Proverbio: A chi ben crede, Dio provvede

Il Presidente Mattarella al Convegno in occasione degli 80 anni della Coldiretti

(mi-lorenteggio.com) Roma, 8 ottobre 2024 – Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha partecipato al Convegno in occasione degli 80 anni della Coldiretti, che ha avuto luogo al Teatro Eliseo di Roma.

Al Convegno hanno preso la parola Vincenzo Gesmundo, Segretario generale Coldiretti; Mariafrancesca Serra, titolare della della Società agricola “Serra Efisio e Mariafrancesca” e responsabile nazionale Coldiretti Donne; Miriam Zenorini, titolare della tenuta Vintlerhof di Bressanone, Mario Faro, titolare dell’ azienda Flora Faro SS ed Ettore Prandini, Presidente nazionale Coldiretti.

Erano presenti anche Francesco Lollobrigida, Ministro dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste e Qu Dongyu, Direttore generale della FAO.

L’evento si è concluso con l’intervento del Presidente della Repubblica.

Intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella al Convegno in occasione degli 80 anni della Coldiretti

Vi ringrazio.

Tra gli interventi pregevoli e interessanti del Segretario generale e del Presidente, le testimonianze che abbiamo visto e ascoltato hanno sottolineato la centralità del mondo dell’agricoltura, della pastorizia, della loro immersione nella natura, e del non rinunziabile e insuperabile radicamento dell’umanità in questo ambito.

Ringrazio quindi i tre testimoni dell’attività della Coldiretti che ci hanno dato questa plastica raffigurazione.

Ottanta anni.

Rivolgere lo sguardo a questi ottanta anni che ci separano dal 1944 significa leggere la storia di un Paese che ha saputo modernizzarsi, crescere, consolidare la libertà dei suoi cittadini, vivere in pace, realizzare importanti obiettivi che la Costituzione della Repubblica ci ha affidato.

In questa storia, tra i protagonisti, troviamo la Confederazione Nazionale dei Coltivatori diretti, o, più semplicemente, la Coldiretti, come gli italiani hanno appreso a chiamare.

La questione agraria ha segnato la vita della Repubblica, rappresentando una delle cartine di tornasole della capacità del nuovo ordinamento di rendere effettivi i diritti elencati nella nostra Carta fondamentale.

Il grande progetto della Costituzione, che puntava al progresso e al benessere di una nazione arretrata e iniqua verso gran parte dei suoi cittadini, si è misurata in primo luogo nei campi, generando quella evoluzione che avrebbe trasformato il mondo agricolo da presunto peso e problema della società italiana in risorsa preziosa.

L’Italia repubblicana e la scelta europea avrebbero posto fine alla concezione che vedeva un settore produttivo primario subordinato ad altri interessi.

A una concezione dei lavoratori del settore agricolo come destinati a un futuro meno fortunato di quelli di altri ambiti.

Rigettando l’idea di un’agricoltura forzata a scegliere tra latifondo e modello sovietico di carattere collettivistico-kolkosiano.

Sin dall’articolo 44, approvato dall’Assemblea Costituente con il concorso delle maggiori forze politiche, troviamo scolpite queste scelte:

“Al fine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali, la legge impone obblighi e vincoli alla proprietà terriera privata, fissa limiti alla sua estensione secondo le regioni e le zone agrarie, promuove ed impone la bonifica delle terre, la trasformazione del latifondo e la ricostituzione di unità produttive; aiuta la piccola e la media proprietà”.

Riprendo queste ultime parole: “aiuta la piccola e la media proprietà” – poc’anzi già sottolineate -, per collegarle al secondo comma dell’articolo 7 che, tra gli altri obiettivi, assegna alla Repubblica il compito di favorire l’accesso alla proprietà diretta coltivatrice.

Una interpretazione che prende atto dell’aspirazione secolare “la terra a chi la lavora”, battaglia contro il latifondo soprattutto nel meridione del nostro Paese, per sviluppare l’aspetto di una proprietà terriera diretto-coltivatrice.

Un approccio allora nuovo, moderno, in cui si riscontrano elementi specifici di un’attività imprenditoriale che ha l’orgoglio di lavorare in proprio sul proprio.

Elementi che riassumono caratteri della battaglia mossa dalla Coldiretti in quegli anni: libertà di intraprendere, con il concorso essenziale della Repubblica attraverso la riforma fondiaria e quella agraria con la distribuzione delle terre; la libertà di coltivazione; la libertà di commercio dei beni prodotti.

Battaglie a cui ha dato sostanza la libertà di vivere e lavorare in campagna, di essere agricoltore, in piena eguaglianza con le attività di altri cittadini, realizzando così l’articolo 3 della Costituzione: “Tutti i cittadini – sappiamo che così recita – hanno pari dignità sociale”, per indicare che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona e la partecipazione di tutti i lavoratori alla vita del Paese.

La scelta della Costituzione esprime il rifiuto di passare dalla arretratezza di rapporti economico-sociali nelle campagne di tipo quasi feudale, alla collettivizzazione, per indicare invece un futuro che incarnasse ideali di eguaglianza, di libertà di impresa, di sviluppo.

Del resto, è sempre l’articolo 44 che ci parla di “razionale sfruttamento del suolo e di equi rapporti sociali”, a testimoniare il duplice obiettivo di mettere in valore il bene della terra e, insieme, di conferire dignità piena a coloro che la lavorano.

Obiettivi talmente importanti allora da meritare, appunto, l’ampio inserimento in Costituzione del tema agricolo perché, come affermò un costituente, l’on. Dominedò, “è necessario compiere in sede costituzionale il primo passo sulla via della riforma agraria”.

E Governi e Parlamento non elusero questa responsabilità.

Si apre così, in quel tempo, un’epoca di grandi riforme in cui, di pari passo, si sviluppa l’ammodernamento del comparto primario e si realizzano i diritti del popolo rurale, affermando priorità all’azienda diretto-coltivatrice. Non senza contrasti, con i Centri di Azione Agraria ad avversare, in Parlamento e nel Paese, questo indirizzo.

Lavoro, salute, previdenza, giusta mercede e poi ricerca, meccanizzazione, specializzazione delle colture, sono le tematiche che ci hanno accompagnato sino a oggi, con il forte impegno dell’organizzazione di cui celebriamo oggi l’ottantesimo compleanno e dei suoi uomini, molti dei quali vennero eletti in Parlamento, secondo una scelta di condivisione di valori che il fondatore della Coldiretti, Paolo Bonomi, volle con determinazione.

La rappresentanza politica dei contadini era una sfida.

Vi avevano preso parte, addirittura prima della riunione della regione all’Italia, l’Unione Contadini del Trentino e, in Piemonte, nel 1921, il Partito dei Contadini, con la elezione in Parlamento di alcuni suoi rappresentanti.

Coldiretti decise di partecipare alla vita politica nazionale nell’ambito della esperienza del movimento di ispirazione cristiana guidato da Alcide De Gasperi.

Bonomi sarà, quindi, prima membro della Consulta nazionale, poi della Costituente, infine della Camera dei Deputati, sino al 1983.

Non fu facile la ripresa.

Le guerre del fascismo avevano sconvolto la produzione agricola. Gli uomini chiamati alla guerra erano stati sottratti alla produzione.

Le risorse alimentari erano più scarse dopo l’autarchia che aveva fatto seguito alla aggressione all’Etiopia.

Cinque anni di guerra avevano devastato oltre 700.000 ettari di seminativo, pari alla superficie delle Regioni Trentino, Friuli, Liguria, Umbria e Campania messe insieme e avevano distrutto 85.000 ettari di pascoli, pari all’ampiezza delle Marche.

Posta la produzione agricola italiana del 1938 pari a 100, quella del 1945 si ritrovava pari a 60.

Si pensi che, ancora nel 1951, i cereali rappresentavano il 40% del deficit alimentare dell’Europa occidentale.

La politica degli ammassi obbligatori, inaugurata dal fascismo, sarebbe venuta meno gradualmente all’inizio degli anni ‘50.

Riprendere i processi produttivi fu l’imperativo della ricostruzione e in essa svolse un ruolo centrale l’agricoltura che, dall’arretratezza, muoveva verso una nuova stagione di ricerca e di progresso.

Oltre 3,6 milioni ettari vennero assegnati alla proprietà diretto-coltivatrice con gli espropri dai latifondi e le acquisizioni rese possibili tramite la Cassa per la piccola proprietà contadina e il Piano Verde, coinvolgendo circa 1 milione e 200.000 famiglie.

Dall’esperienza della Coldiretti è venuto anche un contributo alla definizione delle modalità organizzative e del ruolo delle forze sociali nella neonata democrazia.

La nascita delle organizzazioni sindacali nel dopoguerra in Italia, sulle ceneri delle esperienze pre-fasciste e sulle strutture corporative create dal fascismo, è nota.

Meno studiato, invece, è il percorso che portò Bonomi – nominato, dopo la caduta del regime, commissario governativo della Federazione nazionale proprietari e affittuari diretti coltivatori- a rifiutare il percorso di dar vita a singole organizzazioni per comparto economico, che risentiva dell’esperienza corporativa.

Bonomi rifiuta allora questa impostazione, sulla base della convinzione che i coltivatori diretti costituiscano “una categoria sociale ed economica ben definita”, diversa dai lavoratori dipendenti, pur vivendo del proprio lavoro, e diversa dai proprietari terrieri.

Chi era Bonomi?

Da giovane ho avuto l’opportunità e la fortuna di conoscerlo.

Con un altro diocesano novarese, di poco più anziano, Giulio Pastore, aveva condiviso l’esperienza della Parrocchia di San Martino a Novara, guidata da Don Ugo Poletti, poi Cardinale e Presidente della Conferenza Episcopale Italiana.

Entrambi poi, giunti a Roma nel pre-guerra mondiale, Bonomi – dalla pianura di Romentino – avrebbe fondato la Coldiretti. Pastore – dalla montagna della Valsesia – la Cisl.

Era l’Azione Cattolica la matrice comune, in anni in cui aveva costituito un’area, appena tollerata, sovente ostacolata, di netta distinzione dalla pretesa di monopolio di educazione dei giovani da parte del regime.

Sono le temperie della storia a mettere alla prova gli uomini e a definirne le vocazioni.

Così fu per Paolo Bonomi e per molti altri pionieri dell’organizzazione dei coltivatori diretti. Tra i tanti, ricordo una personalità come Renzo Franzo che si autodefiniva “un umanista prestato all’agricoltura”. Tutti loro chiamati a operare per la causa del progresso sociale e della democrazia.

Come poc’anzi ha ricordato il Segretario generale, Paolo Bonomi, per la sua attività a favore della Liberazione dell’Italia dal nazifascismo, sarebbe stato insignito, nel 1946, della Medaglia di bronzo al Valor militare, con questa motivazione: “Organizzatore e capo di bande di patrioti in territorio italiano occupato dai tedeschi, sottratti al nemico grandi quantitativi di armi automatiche e di munizioni, organizzò in breve tempo opere di sabotaggio, distruggendo automezzi e intralciando notevolmente le vie di comunicazione. In collegamento con il Comando militare alleato forniva utilissime informazioni di carattere militare. Malgrado fosse attivamente ricercato dalle SS tedesche, riusciva a sfuggire alla cattura, continuando a compiere la sua opera fino alla liberazione del territorio occupato”.

La Coldiretti, in quegli anni, è presidio nei campi e nel Paese, del libero svolgimento della vita democratica, sostenendo il processo riformatore e consentendo al lavoro delle campagne di uscire dalla precarietà.

Ricordiamo quando l‘11 novembre di ogni anno era, per molti affittuari e mezzadri, appuntamento angoscioso, avvenendo in quel giorno l’allontanamento dai fondi agricoli, tanto da essere divenuta nella pianura padana, con l’espressione “fare San Martino”, data sinonimo di incertezza per il futuro delle famiglie contadine che coltivavano direttamente la terra.

Se, nel 1951, la messa in comune del carbone e dell’acciaio, con la istituzione della Ceca, diede il via al processo di pace nell’Europa occidentale, sarà l’agricoltura a essere protagonista della seconda fase, quella dei Trattati di Roma del 1957, alle origini dell’odierna Unione Europea.

Rileggiamo per un attimo insieme gli obiettivi che l’articolo 39 del Trattato che istituisce la Comunità economica europea si dava in tema di agricoltura:

  • incrementare la produttività agricola;
  • assicurare un tenore di vita equo alla popolazione agricola, con il miglioramento del reddito individuale di coloro che lavorano in agricoltura;
  • stabilizzare i mercati;
  • garantire sicurezza degli approvvigionamenti;
  • assicurare prezzi ragionevoli ai consumatori.

Sarà la successiva Conferenza di Stresa – ministro italiano dell’agricoltura Mario Ferrari Aggradi – a elaborare, nel luglio 1958, gli orientamenti, che entreranno in vigore nel gennaio 1962 e faranno dell’agricoltura un motore dell’integrazione europea, con la istituzione della Politica agricola comune, con i relativi regolamenti, del FEOGA (Fondo europeo orientamento garanzia agricola), con il mercato unico dei prodotti.

La valorizzazione delle produzioni italiane ci vede oggi al primo posto nella UE per prodotti a cui viene riconosciuta la qualità DOP (denominazione origine protetta), IGP (indicazione geografica protetta), STG (specialità tradizionali garantite).

Le politiche europee hanno saputo introdurre percorsi che hanno collocato la difesa dell’agricoltura nel contesto delle politiche territoriali tese alla salvaguardia dei territori e delle popolazioni delle aree interne.

Il nostro obiettivo, costantemente alla nostra portata – e anche il nostro interesse nazionale – è quello di avere successo sui mercati internazionali grazie all’alta qualità dei nostri prodotti.

Su questo piano non abbiamo nulla da temere. Al contrario, siamo al vertice.

Riprendendo una considerazione del Segretario generale, Gesmundo, vorrei aggiungere: saremmo danneggiati da una competizione tra i vari Paesi, tramite regole di chiusura dei mercati, quasi di sapore autarchico, tentazione che ogni tanto affiora qua e là in Europa. Si chiuderebbero spazi al prevalere della buona qualità. Quella che noi, in ogni campo, assicuriamo.

L’agricoltura esercita un’influenza polifunzionale incidendo in modo importante sui tradizionali rapporti che vedevano la dipendenza delle aree rurali dalle aree urbane.

È questo un terreno di sfida che riguarda una grande organizzazione come la Coldiretti.

Giovanni Galloni, importante economista agrario, oltre che uomo politico, osservava che “l’agricoltura è generativa di beni comuni”.

Agricoltura e identità dei territori sono strettamente connesse, come sottolineava poc’anzi il Presidente Prandini.

Il paesaggio italiano è debitore nei confronti delle opere di trasformazione introdotte dalla pratica agricola.

Così come la difesadell’ambiente, la sostenibilità, la salubrità degli alimenti, la sicurezza alimentare, sono questioni che vi vedono protagonisti.

L’agricoltura, l’alimentazione, connotano una civiltà, quella italiana, innanzitutto.

E, come ha molto opportunamente osservato il presidente Prandini, l’agricoltura si ripropone, oggi, come un significativo fattore di coesione, di integrazione, di legalità, di cittadinanza.

Difatti, non bisogna avere paura del nuovo.

Forse ribaltando l’immagine ben conosciuta, potremmo dire che non serve vino vecchio né in otri né in tempi nuovi.

Vale per il cambiamento climatico.

Occorrono ricette, soluzioni aggiornate, con la stessa lungimiranza che permise di affrontare, con i mezzi di allora, la rinascita del nostro Paese.

Se avessero avuto lo sguardo rivolto indietro i Padri della Repubblica, i Padri della Coldiretti, dove ci avrebbero condotto? Dove saremmo oggi?

Siamo loro debitori e dalla loro esperienza siamo sollecitati alla medesima lungimiranza.

La Repubblica sa di identificarsi in ampia misura nell’agricoltura.

È valso al tempo della pandemia; e agli agricoltori va il ringraziamento della Repubblica per avere assicurato nutrimento al Paese in quei tempi difficili.

Vale, è valso, per le alluvioni – poc’anzi ricordate dal Presidente Prandini – che colpiscono l’Italia, che vedono prove di autentica responsabilità e di grande solidarietà nelmondo agricolo.

La Repubblica sa che l’agricoltura è determinante per il futuro del pianeta.

La Repubblica sa che è a partire da elementi essenziali come l’acqua e il cibo che si costruisce la pace tra i popoli.

L’invasione russa in Ucraina, la gravissima crisi medio-orientale, stanno ponendo a dura prova la possibilità di sopravvivenza di intere popolazioni, con un uso spregiudicato della risorsa alimentare come arma.

L’indispensabile cooperazione internazionale, nella quale siete impegnati per la vostra parte, vi rende veicoli di pace.

L’agricoltura è futuro per l’umanità.

Fedele alle proprie radici, sono certo che troveremo sempre su questa strada la Confederazione dei prossimi decenni.

Auguri.

80 ANNI COLDIRETTI, PRESIDENTE FONTANA E ASSESSORE BEDUSCHI: AUGURI DALLA PRIMA REGIONE AGROALIMENTARE D’ITALIA, INSIEME PER DIFENDERE LA NOSTRA QUALITÀ

“Auguri a Coldiretti per i suoi primi 80 anni di attività, un’associazione che è sinonimo di qualità ed eccellenza. Un punto di riferimento forte e costante nel mondo agricolo, sia per chi vi lavora, sia per i consumatori”. Così il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, e l’assessore regionale all’Agricoltura, Sovranità alimentare e Foreste, Alessandro Beduschi, augurano un felice compleanno, l’ottantesimo, a Coldiretti.

“Il sistema agro-alimentare della Lombardia – ricordano il presidente e l’assessore – è il più importante a livello italiano e uno dei più rilevanti nel contesto europeo e collabora quotidianamente con Coldiretti, condividendone, a esempio, le battaglie contro il falso agroalimentare e per la valorizzazione del made in Italy”.

“Nel corso di questi ottant’anni – concludono Fontana e Beduschi – Coldiretti ha rappresentato un punto di riferimento per l’agricoltura italiana, e la nostra collaborazione è fondamentale per affrontare le sfide del settore. Insieme, Regione Lombardia e Coldiretti continueranno a promuovere il valore dei nostri prodotti e a garantire la sostenibilità, investendo nelle nuove generazioni di agricoltori”.

Redazione

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