(mi-lorenteggio.com) Napoli, 19 settembre 2024 – Si è sciolto alle 10.01 nella Cappella del Tesoro sita nel Duomo di Napoli il sangue di San Gennaro.
La tradizionale cerimonia si svolge tre volte l’anno: a maggio, oggi 19 settembre, in occasione della ricorrenza della morte di San Gennaro avvenuta nel 305 a Pozzuoli, e il 16 dicembre in occasione della Festa del Patrocinio di San Gennaro, che ricorda il giorno in cui nel 1631 l’eruzione del Vesuvio si fermò dopo l’invocazione del santo.
“Sorelle e fratelli,
come ogni anno ci ritroviamo qui, in questa cattedrale che si veste a festa, per celebrare nella gioia la testimonianza del Vescovo e Martire Gennaro nella cui vita le parole del Vangelo che abbiamo ascoltato si sono avverate e compiute. Oggi è la memoria del suo “dies natalis”, del giorno del suo martirio, della sua morte non subita ma scelta come conseguenza della fedeltà al Vangelo, scelta per amore ad un Amore che è più forte della morte, della violenza, di ogni potere!
Ogni goccia di questo sangue ci parla dell’Amore di Dio, dell’Amore che è Dio. Questo sangue è segno del sangue di Cristo, della sua Pasqua ma al contempo è un appello a tutti noi a rimboccarci le maniche per costruire insieme il sogno di Dio: perché questo sangue si mescola sempre con il sangue dei poveri, degli ultimi, con il sangue versato a causa della violenza, dell’incuria umana, del degrado sociale, come purtroppo è accaduto alle vittime del crollo di Scampia e a quelle dell’esplosione di Forcella! E permettetemi oggi di rivolgere il mio pensiero che si fa preghiera, a Chiara, ai suoi familiari ed amici, e a tutti coloro che sono nel dolore per questa morte assurda e tragica: la Chiesa di Napoli vi è vi vicina! Questa vicinanza al dolore di chi soffre è necessaria oggi più che mai perché non possiamo guardare al sangue del nostro Patrono senza guardare al sangue della gente, al sangue di chi è nel dolore, al sangue dei poveri, al sangue degli ultimi: sarebbe un’ipocrisia imperdonabile! Non dobbiamo preoccuparci se il sangue di questa reliquia non si liquefa ma dobbiamo preoccuparci se a scorrere tra le nostre strade e nel nostro mondo è il sangue dei diseredati, degli emarginati, degli ultimi!
Il sangue del Vescovo Gennaro, non dimentichiamolo mai, è sempre un indice puntato tanto al sangue di Cristo quanto al sangue dei poveri e degli ultimi in cui Cristo vive! Ogni altra modalità di leggere questo segno, di accostarsi a questa reliquia magari per scorgere presagi futuri, ci porterebbe fuori pista, allontanandoci dal sentiero che il nostro Martire ha per noi tracciato e che da secoli continua ad indicare alla nostra Chiesa e alla nostra terra: il sentiero che conduce al Vangelo, sentiero che profuma di assoluto e di salvezza, che ridesta la consapevolezza della sete dell’anima, che è sete di Dio, ma che al contempo è anche fame di giustizia, desiderio di unità, comunione, solidarietà fraterna.
Il Vescovo Gennaro anche quest’oggi ricorda a ciascuno di noi che nel Vangelo di Gesù vi è la bussola necessaria a vivere, a vivere pienamente, affrontando a testa alta e con coraggio le sfide che ogni tempo reca con sé, sfide che interpellano la nostra umanità, il nostro essere credenti, la vita della nostra città e dell’intera comunità umana.
Penso alla sfida della pace, che chiede di essere costruita prima ancora che invocata, attraverso il nostro modo di relazionarci quotidianamente a chi incontriamo, attraverso le scelte politiche, economiche, etiche che siamo chiamati a fare sia ogni giorno nel nostro piccolo che nei momenti importanti della vita democratica e sociale.
Penso alla sfida della solidarietà, che diventa sempre più necessaria in un tempo in cui la cultura dello scarto sembra avere la meglio, mettendo da parte ciò che non produce, o che si ritiene inutile ai fini dell’efficienza consumistica!
Penso alla sfida che ogni giorno il mondo e anche la nostra città lancia alla Chiesa, chiedendole ragione della propria speranza, invitandola a non essere profeta di sventura ma piuttosto sorgente di senso e di significato, quel senso e quel significato che per noi ha il volto e il nome di Gesù di Nazareth, che siamo chiamati ad annunciare a tutti anzitutto attraverso la testimonianza della nostra vita personale e comunitaria!
E potremmo enumerarne molte di sfide, tante, forse così tante da provare paura, spingendoci magari a rintanarci nelle nostre abitudini confortevoli, nei nostri spazi sicuri, quelli che conosciamo bene e nei quali è facile sentirsi comodi, chiudendo gli occhi sulla realtà che invece bussa alla porta.
Fratelli e sorelle, penso che anche il martire Gennaro si è trovato in questa situazione. Vivendo un’epoca di grandi cambiamenti e mutamenti sociali, politici, etici. E la sua fiducia nel Signore lo ha spinto a non tirarsi indietro, a non nascondersi ma a portare il conforto dell’amicizia e della fede ai suoi amici imprigionati, mettendo a repentaglio la propria vita nella consapevolezza che solo una vita spesa fino alla fine per amore e nell’amore è degna di essere vissuta! Perché l’amore riesce a discernere ciò che davvero conta nella vita e ciò che davvero conta è anche ciò da cui bisogna ripartire per costruire insieme un futuro diverso, più umano, più pacifico e giusto.
Sapete, quest’estate mi sono imbattuto in un testo poetico che parla delle “poche cose che contano”, di ciò per cui vale la pena vivere e sacrificarsi, ciò da cui occorre sempre ripartire, soprattutto nei momenti di cambiamento e difficoltà. Anche nel nostro cammino di fede dobbiamo ricordarci che non siamo chiamati in ogni momento a grandi gesti e a opere straordinarie, ma a coltivare un cuore capace di vedere l’essenziale ogni giorno, agendo di conseguenza!
“L’infinita pazienza di ricominciare” di cui parlano questi versi, mi ha riportato poi al cuore stesso del Vangelo: la misericordia di Dio. Quante volte ci troviamo smarriti, disorientati, delusi! Eppure, il Signore ci invita sempre a ricominciare, a non arrenderci mai, ad essere pazienti con noi stessi e con gli altri, ripartendo sempre dalla sua misericordia, sapendo che ogni giorno è un’opportunità per crescere, convertirsi e scegliere nuovamente da che parte stare!
La “ferita che diventa feritoia” è un’altra immagine potente che questa lettura mi ha donato. Ci ricorda che le nostre sofferenze, i nostri fallimenti, non sono la fine, ma possono diventare invece il punto di partenza per qualcosa di nuovo. Come una matita spezzata che ancora colora, anche le nostre vite, segnate dalla fragilità, possono essere strumenti di bellezza e di grazia.
Le nostre ferite, vissute con fede, possono diventare feritoie da cui entra la luce di Dio, trasformandoci e rendendoci capaci di contagiare con la speranza coloro che incontriamo! E questo vale anche per le ferite della nostra città: spesso guardiamo ad alcune emergenze e alle problematiche sociali solo come problemi da risolvere dimenticando che possono segnare l’inizio di nuove traiettorie di giustizia e di pace per la nostra comunità. Pensiamo all’emergenza educativa o a quella abitativa: certamente sono problemi urgenti che richiedono risposte immediate e lungimiranti ma al contempo sono un invito a far luce su un futuro diverso possibile, capace di segnare un cambio di passo per la Napoli che verrà!
Per far questo occorre, ad ogni livello, avere il coraggio di superare la logica della competizione ad oltranza per abbracciare quella della cooperazione. E cooperare implica il tenersi per mano, lo stare l’uno accanto all’altro, superando le contrapposizioni personali inutili, il lessico violento, la calunnia gratuita, l’offesa come stile comunicativo. Per passare tuttavia dalla competizione alla cooperazione occorre far propria la “fatica e la forza di chi sa perdonare”! Il perdono non è soltanto uno dei più grandi insegnamenti e inviti di Gesù ma è un tassello fondamentale della convivenza, a tutti i livelli. Non è facile perdonare, lo sappiamo bene ma è proprio nel perdono che troviamo la vera libertà, la pace del cuore, la capacità di andare oltre il male subito e di aprirci a un futuro nuovo in cui il fratello e la sorella non sono combattuti come nemici ma accolti come compagni di viaggio, anche e soprattutto se sono portatori e portatrici di idee e pensieri diversi dal mio!
Fratelli e sorelle, quest’oggi il vescovo Gennaro ci ricorda che è davvero “la fragilità che ci rende migliori”! Anche quando apparentemente, come è accaduto a lui, sembra che chi è fragile sia destinato a soccombere. Nessuno di noi è invincibile, immune alle paure e alle debolezze ma è proprio questa vulnerabilità umana che ci consente l’incontro con gli altri e con l’Altro che è Dio.
La fragilità non è mai una sconfitta, ma un’opportunità per aprire il nostro cuore all’azione di Dio, per permettere alla sua grazia di entrare e trasformare le nostre vite. È la fragilità che ci rende più umani, e, allo stesso tempo, più capaci di comprendere e amare gli altri, fino a “sacrificare tutto in nome dell’amore.” Non è forse questo l’insegnamento del Vangelo? Non è forse questo ciò che il martire Gennaro ha vissuto sacrificando la propria vita per la fede in Cristo e per l’amore verso i suoi fratelli? Non è forse questo il più alto esempio di amore? Un amore che non conosce limiti, che è disposto a dare tutto, anche la vita, per il bene degli altri, un amore che non è solo un sentimento, ma un impegno concreto, una scelta di vita.
Gennaro ci invita a vivere un amore che non si accontenta di mezze misure, ma che va fino in fondo, fino alla croce, sapendo che si tratta sempre e comunque di una “collocazione provvisoria” perché la notte del calvario non è eterna e dovrà ritrarsi alle prime luci dell’alba pasquale!
Sapete, sono convinto davvero che il miracolo della nostra città, la sua forza più grande e forse quella che apprezza di più il nostro santo Patrono sia proprio la bellezza della fragilità e di chi di essa si prende cura. Il miracolo della fragilità, il miracolo della cura, della tenerezza, del vivere l’uno con l’altro, l’uno per l’altro! Questo è il miracolo che sorregge Napoli e da cui tutti dobbiamo ripartire.
Tutti i giorni, dalla mia finestra, vedo un padre, Vincenzo, un papà anziano che vive totalmente per il giovane figlio con disabilità, Giampaolo. Vado spesso a trovarli. Questo padre fa tutto per lui e il figlio lo ripaga con gli occhi luccicanti di amore, un amore senza parole ma in grado di comunicare tutto il bene, il bello, la bellezza dell’umanità. Soprattutto quando prego pensando alle difficoltà della nostra comunità, alle sfide che ci interpellano come Chiesa e come città, spesso mi fermo dinanzi a quell’icona vivente e chiedo al Signore di imparare ad essere come quel padre e come quel figlio, di renderci tutti madri e padri gli uni degli altri, partendo dalla consapevolezza che ognuno di noi è chiamato ad essere sia un figlio, una figlia fragile e bisognosa di cura sia un padre e una madre che donano cura, partendo proprio dall’esperienza della propria fragilità!
Sorelle e fratelli miei, credo che il nostro San Gennaro oggi stia a dirci proprio questo, la necessità di ripartire da chi cura, da chi lotta, da chi spera operando pace e giustizia, dai gesti feriali, quotidiani, dalle piccole cose che contano, dalle scelte discrete e invisibili che però danno vita ad autentiche rivoluzioni sociali!
Napoli, mia amata città, ricorda sempre di custodire con tutto te stessa e ripartire ogni giorno dalle poche cose che contano e che reggono ogni giorno la tua speranza e la tua fiducia!
Riparti dall’esperienza di chi fa della cura la sua scelta di vita, evitando di girarsi dall’altra parte, rispondendo all’appello che il volto dell’altro esprime, sia esso quello di un familiare, di un amico, di un bambino di strada o di un migrante.
Riparti da una politica che diventa davvero scelta d’amore per il bene comune quando si diventa capaci di stringere la mano all’avversario e fare con lui un pezzo di strada pur conquistare un ulteriore pezzo di umanità e solidarietà per chi rischia di restare indietro.
Riparti dalla solidarietà autentica, dal riconoscimento spontaneo della fraternità innata che lega gli agli altri e che da sempre è decantata nel mondo come la tua perla preziosa, il tuo tesoro più grande: non dimenticare mai la potenza di una mano tesa, la forza guaritrice di un sorriso accogliente, la grandezza dello schierarsi per chi ha bisogno, senza chiedergli nessun patentino se non quello del suo essere figlio di questa umanità!
Napoli, conserva l’entusiasmo di lottare per una città più giusta e pacifica, in cui il malaffare, a qualsiasi livello, possa cedere il posto ad una cultura del bene. E in questo tragitto non sentirti mai sola ma avverti la compagnia umile della chiesa di Cristo, di questa barca che a volte sembra far acqua da tutte le parti ma che non teme perché nella sua stiva contiene un vaso di creta che custodisce il tesoro prezioso del Vangelo, tesoro che desidera condividere con tutti, senza alcuna distinzione.
E tu, beato Gennaro, non abbandonarci mai e che il segno del tuo sangue ravvivi sempre in noi il desiderio di realizzare per la nostra terra e per l’intero mondo il sogno di Dio!
Amen!”