(mi-lorenteggio.com) Milano, 22 febbraio 2023 – L’affermarsi della rivoluzione digitale sta provocando profonde trasformazioni nel rapporto che gli individui in generale, e i giovani in particolare, intrattengono con la propria immagine.
L’immagine digitale consente, con un semplice smartphone, di produrre, memorizzare, modificare e condividere, a costi irrisori, migliaia di immagini, nella maggior parte dei casi costituiti da ritratti e autoritratti (selfie). Ogni minuto, milioni di visi sono fissati in fotografie digitali, soggette a un makeover virtuale praticato dagli utenti o incorporato negli stessi dispositivi fotografici, un ritocco che riguarda, da una parte, la preparazione reale del viso (dal make up, al botox, fino alla chirurgia estetica), e, dall’altra parte, la sua manipolazione virtuale (dai filtri, agli algoritmi di editing, fino ai software di modifica dell’immagine).
Tutti questi passaggi sono strettamente legati tra loro e si influenzano reciprocamente, con effetti amplificati dalla possibilità di condividere la propria immagine tramite i social media, che estendono il confronto dai modelli classici di bellezza (di stampa, cinema e tv) alla comparazione tra pari (peer to peer).
Il contesto descritto in alcuni casi può produrre disturbi psicologici se non vere e proprie patologie, ma anche nuove forme poco studiate di relazioni sociali che costituiscono altrettante opportunità offerte dalla rivoluzione digitale.
Per studiare problematiche e potenzialità legate alla gestione dell’immagine di sé digitale, con un’attività di ricerca innovativa concentrata sul viso, protagonista delle interazioni virtuali ma finora raramente preso in considerazione dalla letteratura, è nato SatisFACE, un progetto del CUSSB (Centro Universitario di Statistica per le Scienze Biomediche) dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano (UniSR), con la collaborazione di ricercatori di vari ambiti della Facoltà di Psicologia – dalla psicometria, alla psicologia del comportamento, alla comunicazione – avvalendosi anche del supporto di ricercatori dell’Università Sigmund Freud. Si tratta di un progetto interdisciplinare, che integra le competenze di statistica, psicologia, digital health, psicologia sociale, con l’obiettivo di misurare ed analizzare la percezione dell’immagine del proprio viso e la relazione tra questa e il mondo digitale e con la finalità ultima di elaborare una valutazione quali-quantitativa dell’impatto delle tecnologie digitali sull’immagine di sé, come possibile predittore di eventuali disagi psicologici – soprattutto in età pre e post adoloscenziale – ma anche nell’ottica di promuovere il digital wellbeing, come si definisce il benessere digitale.
I ricercatori hanno realizzato un questionario online al fine di indagare l’uso dei social network, il selfie behaviour (comportamento assunto nello scatto del selfie), l’attitudine rispetto all’editing e all’uso dei filtri (frequenza in cui si scattano o si modificano i selfie, tipi di filtri usati per il volto), la consapevolezza delle funzioni predefinite di fotoritocco facciale, la gestione e percezione dell’immagine digitale, l’appearance anxiety (ansia legata all’aspetto) e la presenza di sintomi internalizzanti.
I primi risultati, emersi da uno studio pilota condotto su 120 (pre)adolescenti (età media 13.16 anni: dai 12 ai 16 anni), rivelano aspetti molto interessanti dal punto di vista psicosociale sull’utilizzo dei social e sulla gestione dell’immagine di sé in foto.
I social più utilizzati sono WhatsApp (92.5%), Tiktok (88.3%), Instagram (76.7%) e YouTube (75%): il 65.9% dei partecipanti riporta di trascorrervi fino a 4 ore (il 37.5%, da 2 a 4 ore).
Il 57.1% degli intervistati riporta di usare i social da 2 a 4 anni: ora, considerato che il campione è costituito per il 71.7% da ragazzi/e di 12 e 13 anni e che i partecipanti di età inferiore a 14 anni riportano per il 61.2% di usare i social da 2 a 4 anni, si evince un early use dei social a fronte dell’età minima di 13 anni per iscriversi a Instagram e Tiktok, non senza ricadute sul tema della sicurezza.
Se si mette in relazione il dato sul tempo trascorso sui social media con il dato sulla media dei follower e con quello sulla media dei like (il 68.3% degli intervistati ha meno di 500 follower e il 53.5% riceve meno di 30 like in media), emerge che gli studenti che hanno partecipato all’indagine principalmente “seguono” (amici/influencer/sportivi) invece di “essere seguiti”.
Inoltre, il dato sul tempo trascorso sui social è interessante se letto in relazione ai punteggi ottenuti nelle scale relative alla manipolazione fotografica, al controllo dell’immagine nelle foto online/offline, all’ansia da aspetto, alla body-esteem (stima del proprio corpo): in particolare, rispetto ai compagni che passano meno tempo sui social, i ragazzi che affermano di usare i social per più di 4 ore (34.2%), registrano punteggi significativamente più alti nelle scale relative alla manipolazione fotografica e al controllo dell’immagine nelle foto online/offline e nella scala relativa all’ansia da aspetto, e significativamente più bassi in termini di body-esteem. Più tempo sui social equivale, dalle prime indagine, a una manipolazione più frequente, a un maggior controllo dell’immagine nelle foto, a più ansia da aspetto e a una peggior percezione della propria immagine corporea.
Solo il 25.4% dei partecipanti è soddisfatto al primo scatto e solo il 22.9% dei partecipanti è soddisfatto del primo scatto che pubblicherà sui social. Il 36.8% dei partecipanti dichiara di eliminare 2-5 selfie tra quelli scattati.
Sul fronte editing, il 49.2% dei partecipanti dichiara di editare le foto: la maggior parte di questi edita all’interno del social su cui vuole pubblicare o dall’app “Foto” del telefono, mentre in pochissimi dichiarano di utilizzare App dedicate (Facetune, VSCO, YouCam Makeup). Relativamente all’editing automatico della fotocamera del telefono (editing non volontario), sui 120 partecipanti, il 30.8% dichiara che “forse” c’è una differenza tra l’immagine che si vede sullo schermo nel momento in cui ci si scatta la foto e quella che rimane salvata sul telefono. Più nel dettaglio, la manipolazione riguarda principalmente l’alterazione di caratteristiche “fisiche” della foto e l’uso di filtri interattivi divertenti. Il controllo esercitato sull’immagine corporea nelle fotografie scattate e selezionate per la pubblicazione sui SM è motivato principalmente da preoccupazioni per il proprio aspetto fisico nel momento in cui ci si relaziona con gli altri. Gli studenti poi esprimono preoccupazioni per un utilizzo non appropriato delle foto condivise nei social, che possono essere “manomesse/ritoccate” o utilizzate con finalità diverse da quelle di partenze (web-related anxiety) e sono consapevoli dei rischi della condivisione.
Con riferimento alle relazioni tra gestione del “digital-self” e la sintomatologia internalizzante, gli esperti notano che depressione e ansia da aspetto sono maggiori tanto più bassa è la percezione della propria immagine corporea (misurata tramite la Body Esteem Scale) e tanto più alta è la manipolazione fotografica (misurata tramite la Photo Manupulation Scale) e il controllo sull’immagine corporea (misurato tramite la Body Image Control in Photos). La manipolazione fotografica (misurata tramite la Photo Manupulation Scale), a sua volta, correla positivamente con il controllo sull’immagine corporea (misurato tramite la Body Image Control in Photos) e negativamente con la percezione della propria immagine corporea (misurata tramite la Body Esteem Scale.
Il progetto di ricerca, che gode del patrocinio del Comune di Milano, è iniziato nella primavera 2022, con l’obiettivo di ampliare l’ambito di indagine dalle scuole secondarie di primo grado alle scuole secondarie di secondo grado coinvolgendo un campione più ampio di studenti al fine di indagare anche l’impatto del contesto sociale e di fattori ambientali nel modulare la relazione con l’immagine di sé digitale e più in generale nell’utilizzo (dis)funzionale dei social media e delle nuove tecnologie.
Il Comitato Scientifico del progetto è costituito dai professori Chiara Brombin, coordinatrice di SatisFACE, associata di Statistica presso la Facoltà di Psicologia di Università Vita-Salute San Raffaele e coinvolta nelle attività di ricerca del Centro Universitario di Statistica per le Scienze Biomediche (CUSSB), Clelia Di Serio, ordinaria di Statistica Medica presso la Facoltà di Psicologia di Università Vita-Salute San Raffaele e direttore del Centro Universitario di Statistica per le Scienze Biomediche (CUSSB), Antonio Nizzoli, Docente di corsi di comunicazione mediatica presso l’Università Vita-Salute San Raffaele e autore del libro Narcisi nella rete. L’immagine di sé nell’epoca dell’immagine, Valentina Tobia, associata di Psicologia dello sviluppo e psicologia dell’educazione e membro del Child in Mind Lab, Università Vita-Salute San Raffaele, e dalle dottoresse Chiara Ferrero, psicologa, referente field project per il master Cognitive Psychology in Health Communication presso l’Università della Svizzera Italiana (USI) e presso Università Vita-Salute San Raffaele, e Simona Scaini, tenured lecturer in Psicologia e Psicopatologia dello Sviluppo e Vicedirettore del Dipartimento di Psicologia di Milano della Sigmund Freud University. Collaborano al progetto studentesse e tirocinanti presso l’Università Vita-Salute San Raffaele: Carlotta Tansini, Anna Marta, Simona Massari, Camilla Sala.
“Durante l’attività svolta con le scuole all’interno del progetto SatisFACE, abbiamo rilevato un notevole interesse sia da parte degli studenti sia dei docenti su un tema così complesso come quello dell’uso delle tecnologie digitali, soprattutto smartphone e social media, e il rapporto con la propria immagine. Interesse facilmente percepibile anche nei genitori, forse i più in difficoltà nel seguire le conseguenze della rapida evoluzione dei meccanismi psicologici generati dall’uso del digitale sui propri figli. Il progetto, quindi, ha una finalità scientifica con immediate ricadute ‘pratiche’: promuovere il benessere digitale negli adolescenti e sensibilizzarli rispetto ai potenziali rischi della manipolazione e mistificazione del sé digitale. Attività cruciale, soprattutto se si considera, oltre al numero considerevole di ore che i giovani trascorrono online, il periodo di vita che stanno vivendo così importante per la costruzione identitaria”, ha dichiarato la professoressa Chiara Brombin.