Milano, 30 giugno 2021 – La seconda Conferenza internazionale di Berlino – tenutasi il 23 giugno scorso nella capitale tedesca – è stata l’occasione per fare il punto sui progressi politici fatti in Libia, a un anno di distanza dal primo appuntamento dello scorso anno. Mentre si discute sul ritiro delle truppe straniere dal Paese, si avvicinano le elezioni nazionali, fissate per il prossimo 24 dicembre: da queste dipende il futuro della Libia, logorata da anni di guerra interna e instabilità politica – e ci si chiede se i libici saranno davvero messi in grado di scegliere liberamente il proprio destino.
Cosa è accaduto il Libia negli ultimi dieci anni, dopo la caduta del colonnello Gheddafi
In effetti la situazione in Libia non si sia ancora stabilizzata, da quando il colonnello Muammar Gheddafi è stato ucciso nel lontano ottobre 2011, al culmine di una rivolta appoggiata dalla Nato. Un decennio in cui il Paese, ricco di risorse petrolifere, è rimasto politicamente e territorialmente diviso in due: a ovest – Tripoli – il governo di accordo nazionale (GNA) riconosciuto e sostenuto dall’Onu. A est, le autorità rivali sostenute dall’esercito nazionale libico (LNA) che vede a capo il feldmaresciallo Khalifa Haftar, il quale di fatto controlla il 70% del territorio e la quasi totalità delle risorse energetiche del Paese. Nell’aprile del 2019, Haftar – con l’appoggio di Russia, Egitto ed Emirati Arabi Uniti – ha lanciato un’offensiva per tentare la conquista di Tripoli, ma senza esito: la sua avanzata – durata 14 mesi – si è arenata dopo che la Turchia ha intensificato il suo sostegno militare al governo di Tripoli inviando centinaia di soldati e migliaia di mercenari siriani. Un accordo di cessate il fuoco a ottobre, che includeva la richiesta che tutti i combattenti stranieri e i mercenari lasciassero la Libia entro 90 giorni, ha portato a un accordo per la formazione di un governo di transizione: il Governo di Unità Nazionale (GNU), guidato dal premier ad interim Abdul Hamid Dbeibeh, si è insediato nel marzo 2021 con l’obiettivo di traghettare la Libia verso elezioni democratiche. Una strada che sembra avere di fronte a sé ancora degli ostacoli.
Presenti alla conferenza i rappresentanti di 17 Paesi – ma alcuni degli attori più importanti in Libia non sono stati invitati
Tanto più se si considerano le condizioni in cui si è svolta la conferenza di Berlino, che non possono dirsi propriamente democratiche. La Germania ha cercato di porsi come il perfetto intermediario per l’importante incontro di menti, ma il vertice ha mostrato una forte contraddizione già dalle sue basi. Il ministro degli Esteri tedesco Heiko Maas, infatti – congiuntamente con il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres – ha riunito gli alti rappresentanti dei 17 governi internazionali che hanno interessi in Libia, ma non ha esteso l’invito a tutti gli attori più importanti all’interno del Paese. I esponenti libici che hanno preso parte al Summit – tra cui i membri del governo libico di unità nazionale (che ha partecipato per la prima volta ai negoziati internazionali) – non erano di fatto rappresentativi delle forze realmente attive sul territorio. La mancanza di voci alternative ha fatto sì che i colloqui fossero antidemocratici fin dall’inizio. Una mossa piuttosto ambigua da parte dei Paesi europei – specialmente della Germania – il cui auspicio dovrebbe essere quello di assicurare alla Libia delle elezioni democratiche e un futuro altrettanto democratico.
Infatti, una discussione realmente costruttiva avrebbe dovuto portare al tavolo tutti gli effettivi attori che potranno avere un ruolo nella Libia pre e post-elezioni. In particolare, a non essere stato invitato è il maresciallo Khalifa Haftar, a capo dell’area orientale della Libia – quasi la totalità del Paese. Sembra che con questa mossa la Germania abbia voluto deliberatamente contrastare la fiducia che Francia e Russia – per non parlare degli stessi libici – ripongono nel leader militare, considerato un baluardo contro gli estremismi islamici. Così articolata, la conferenza ha dimostrato di non aver effettivamente fatto nessun passo in avanti per l’evoluzione della Libia verso uno stato democratico – anzi, è stato un regalo fatto alla Turchia, che ancora si rifiuta di ritirare le sue truppe di mercenari dal Paese, nonostante le richieste degli organismi internazionali e dello stesso ministro degli esteri libico.
Unione Europea e USA potrebbero dare una svolta alla questione libica, con una presa di posizione da parte di Mario Draghi
Un ruolo di primo piano in questa complessa vicenda potrebbe assumerlo il premier italiano Mario Draghi, coinvolto sin dall’inizio del suo incarico nella questione libica, per via degli interessi strategici dell’Italia nel Paese nordafricano. Quest’ultimo in aula al Senato ha dichiarato: “Quello che si sta cercando di fare è sollecitare l’azione dell’Unione europea sotto l’auspicio delle Nazioni Unite. A quel punto vedremo se gli Stati Uniti possono essere favorevoli all’azione dell’ONU in quella parte del mondo – di nuovo nella consapevolezza che ormai quella sfida è diventata troppo grande per essere affrontata dai singoli Paesi”.
Ed è proprio su un intervento risolutivo dell’Unione Europea e degli Stati Uniti che l’Italia dovrebbe puntare. L’occasione perfetta per intercedere presso le due potenze potrebbe essere vicina, e concreta: l’Italia infatti ospiterà la riunione dei ministri degli esteri del G20 alla fine di giugno, a Matera. Alla presenza dei 19 paesi più potenti del mondo e dell’Unione Europea, citando la questione libica, Draghi dovrebbe far valere le ragioni della democrazia: che non sia più consentito alla Germania di promuovere un sentimento pro-Turchia.
L. M.