(mi-Lorenteggio.com) Robecco sul Naviglio, 16 aprile 2019 – “Il fascismo non è un mitra, una camicia nera o un saluto romano… ma una mentalità, alla quale è sempre necessario ribellarsi”. È questa la frase di don Giovanni Barbareschi riportata nel manifesto delle iniziative per il 74° Anniversario della Liberazione che si svolgeranno il 25 e il 26 aprile 2019 a Robecco sul Naviglio per iniziativa dell’Amministrazione comunale e dell’Associazione Combattenti e Reduci.
Giovedì 25 aprile 2019 si terranno le celebrazioni ufficiali con il seguente programma: ore 16.15, raduno presso il Palazzo comunale; ore 16.30, corteo alle lapidi con discorso delle autorità; ore 17.30, Santa Messa presso la Chiesa Parrocchiale S. Giovanni Battista. Sarà presente anche il Corpo Musicale “Santa Cecilia” di Robecco sul Naviglio.
Venerdì 26 aprile 2019 alle ore 21.00, invece, nel Municipio, in via Dante, si svolgerà la conferenza “Ribelli per amore – I sacerdoti cattolici nella Resistenza”, da mons. Giovanni Barbareschi a don Gerolamo Magni e don Virginio Colzani. Evento questo, cui ha collaborato anche il Coordinamento Anpi del Magentino. In questa occasione sarà presentata la nuova edizione del libro del Centro Ambrosiano “Memoria di Sacerdoti ‘Ribelli Per Amore’ 1943-1945” di don Giovanni Barbareschi. Interverranno come relatori: il giornalista Silvio Mengotto ed Elisabetta Bozzi di ANPI Magenta.
Curatore dell’opera è monsignor Giovanni Barbareschi, classe 1922, che da seminarista e poi da sacerdote appena consacrato fu protagonista della Resistenza ambrosiana: anima del gruppo scout delle “Aquile randagie”, redattore del giornale clandestino Il Ribelle (con Carlo Bianchi, Teresio Olivelli e altri martiri), assistente religioso delle Fiamme Verdi.
A lui si rivolse il cardinale Carlo Maria Martini perché fossero diligentemente raccolte le “memorie”, appunto, di quei sacerdoti che in quei giorni terribili si «ribellarono per amore». E fu lo stesso arcivescovo di Milano a chiarire in che modo debba essere intesa questa espressione, che a prima vista potrebbe forse suscitare un qualche stupore, affermando che «la loro “Resistenza” è stata anzitutto una resistenza morale, la loro “ribellione” è stata la scelta consapevole dell’umano contro il disumano».
«Sono stati preti che hanno educato al senso autentico della libertà. – scriveva ancora Martini nella presentazione dell’opera – La loro Resistenza fu anzitutto un’opera di carità, di ospitalità, di fratellanza. Di questi preti il Vescovo, la Diocesi, possono essere fieri, perché sono stati preti, soltanto preti. Per i loro fratelli si sono sacrificati, hanno rischiato per l’uomo, per il fratello emarginato, sofferente, per l’ebreo, per il forestiero, per l’escluso. Hanno rischiato per il rispetto dei valori, per “farsi prossimo”. Lo testimonia anche il fatto che dopo il 25 aprile ’45 non hanno esitato ad aiutare “gli altri”, i nuovi ricercati, perseguitati, braccati».
Con una sistematica ricerca tra archivi parrocchiali, carteggi, epistolari sono state raccolte oltre 170 “memorie” di altrettanti sacerdoti e religiosi che furono coinvolti in prima persona in attività di resistenza e di salvataggio in terra ambrosiana, appoggiandosi spesso alle realtà loro affidate (parrocchie, oratori, collegi, cappellanie…), riuscendo sempre a coinvolgere in questa “ribellione” e in questa testimonianza di carità il loro popolo.
In questo lungo elenco troviamo anche due sacerdoti del Magentino: don Virginio Colzani e don Gerolamo Magni.
Colzani, parroco a Ponte Vecchio, inizialmente ha il compito di portare informazioni e denaro ad altre formazioni partigiane, in modo particolare a quelle dislocate in Valsesia e in Val d’Ossola. Approfittando della maggiore libertà di movimento concessagli dall’abito che indossa. Con il passare dei mesi il suo impegno partigiano si intensifica. Collabora strettamente con la Divisione Magenta delle Brigate Garibaldi, guidata dal comunista Anselmo Arioli, il comandante “Lucio”.
Il suo oratorio, come altri della zona, diventa il punto di riferimento di un nucleo di circa trenta partigiani. Don Virginio è nominato comandante del distaccamento di Ponte Vecchio della 168esima Garibaldi “Franco Parmigiani” e assunse anche l’incarico di cappellano della Brigata cattolica Colombini, costituitasi nel marzo del 1944 e collegata ai nuclei resistenziali cattolici dell’Alto Milanese.
Nei giorni convulsi della Liberazione gioca un ruolo decisivo per scongiurare scontri tra una grossa colonna tedesca in ritirata, circa seimila uomini provenienti da oltre il Ticino, e i partigiani del Magentino. È don Virginio, infatti, a convincere i partigiani di Arioli dell’assurdità di un attacco che avrebbe potuto rivelarsi disastroso. È sempre don Virginio a far parte della delegazione che concorda con il comando tedesco del paese, dopo lunghe trattative, la resa delle forze naziste.
Alla fine della guerra gli vengono conferiti il diploma di “Combattente di distaccamento” e di “partigiano ferito”, mentre per il valore militare mostrato riceverà nel 1972 la “Croce al Merito”.
La figura di don Gerolamo Magni, invece, è legata ai fatti accaduti a Robecco il 20 e 21 luglio del 1944, ovvero alla strage nazifascista e al seguente trasferimento di decine di cittadini al carcere di San Vittore e la deportazione di altri nel campo di concentramento di Kahla (Germania). Insieme al dottor De Bonis accorse subito in Cascina Chiappana il giorno 20 aprile 1944, ai tedeschi si rifiutò di rivelare dove era stato nascosto un partigiano ferito, invocando il segreto confessionale. Il giorno successivo, dopo il rastrellamento e l’eccidio, venne incarcerato a S. Vittore e poi liberato grazie all’intervento del Cardinal Schuster.