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Proverbio: Se piove tra luglio e agosto, piove miele, olio e mosto

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Costa Concordia. Se anche il capitano abbandona la sua nave

(mi-lorenteggio.com) Milano, 17 gennaio 2012 – Appartengo alla generazione nata pochi anni dopo la fine della guerra, tempo di lavoro, sacrifici e grandi speranze. Alle elementari, nell’allora estrema periferia di Milano, scuola elementare Cesare Battisti ( eroe dell’irredentismo, senza nessun’altra implicazione) marciavamo per tre, felici quando la maestra ci faceva segnare il passo, e spesso ci riunivamo nel salone a cantare: Fratelli d’Italia, Chi per la patria muor vissuto è assai, Bella ciao e anche la Bella Gigogin. Un anno rappresentammo il Parlamento del Carducci, vestite da antichi milanesi, con la prima calzamaglia della mia vita ( allora non si usavano ancora) e Alberto da Giussano, (Laura in realtà) gridava “Milanesi,fratelli, popol mio” e noi, fiere e calate nella parte, rispondevamo in coro “il Barbarossa in campo!” Perché allora c’erano i cattivi e i buoni, anzi c’erano gli eroi, che sognavamo di imitare e le cui azioni ci riempivano di orgoglio. C’erano grandi ideali ai quali credere: la patria, l’onore, la giustizia, la verità. Noi ci credevamo ciecamente. Daltronde credevamo anche a Gesù Bambino. Prima della fine delle elementari avevamo scoperto la verità su Gesù Bambino, sul resto, ognuno seguì un suo personale cammino, mentre gli eroi dell’infanzia a poco a poco sbiadivano e si allontanavano, insieme agli ideali che avevano incarnato. Alcuni però resistevano più di altri, forse perché messi alla prova dalla realtà più raramente. Tra i miei, chissà perchè, visto la mia origine terrestre, o forse proprio per questa, resisteva, anche se un po’ sonnacchiosa, la figura del comandante di nave : Ulisse, Erik il Rosso, Cristoforo Colombo, Antonio Pigafetta. Con qualche divagazione nel romanzesco: Capitani coraggiosi, Un capitano di 15 anni, il salgariano Yanez che al momento dell’affondamento getta la sua sigaretta in mare dicendole di aspettarlo laggiù ( poi arrivano i nostri, ma è il gesto che conta). Insomma, quella del capitano che guida la sua nave tra i flutti e nel momento supremo non l’abbandona è sempre stato per me una certezza assoluta. Così, quando ho appreso la tragica notizia dell’affondamento della Concordia, mi sono indignata che avessero arrestato proprio il capitano. Ma poi ho sentito il dialogo tra lui, al sicuro su di uno scoglio, e la capitaneria di porto, l’ordine preciso di risalire a bordo, l’incredibile rifiuto. Mi si è ghiacciato il sangue nelle vene e ho spento la televisione. Se n’è andato l’ultimo brandello della mia infanzia, col suo carico di fiducia e di candore. Ormai sono solo vecchia, vecchia e vuota.

Valeria Acquarone

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