Milano, 15 aprile 2010 – Dal 16 aprile al 4 luglio Palazzo della Ragione ospiterà la mostra “Stanley Kubrick fotografo 1945 – 1950” che raccoglie trecento fotografie, molte delle quali inedite e stampate dai negativi originali, realizzate dal regista americano tra il 1945 e il 1950 quando, a soli 17 anni, venne assunto dalla rivista americana Look.
“La mostra racconta anzitutto lo sguardo di Kubrick che si è rivelato uno dei tratti stilistici più interessanti della sua poetica cinematografica – spiega l’assessore alla Cultura Massimiliano Finazzer Flory -. Conosciuto ai più per gli indimenticabili film che hanno segnato la storia del cinema, Kubrick si è brillantemente distinto per la sua attività di fotoreporter. Una carriera fotografica che si è dispiegata all’insegna della ricerca dell’anima dei personaggi ritratti al pari degli ambienti con una personalissima visione del reale e dei suoi stratificati livelli di significato”.
L’esposizione, curata da Rainer Crone, è realizzata dal settore Cultura del Comune assieme a Giunti Arte Mostre Musei, in collaborazione con la Library of Congress di Washington e il Museum of the City of New York – che custodiscono un patrimonio ancora sconosciuto di oltre 20.000 negativi di Stanley Kubrick, giovanissimo, ma già grande fotografo. Le immagini esposte testimoniano la capacità di Kubrick di documentare la vita quotidiana dell’America dell’immediato dopoguerra, attraverso le storie di celebri personaggi come Rocky Graziano o Montgomery Clift, le inquadrature fulminanti e ironiche nella New York che si apprestava a diventare la nuova capitale mondiale, o ancora la vita quotidiana dei musicisti dixieland. La mostra rivela il modo di fare fotografia di Kubrick, una delle passioni che, ancora minorenne, ereditò dal padre (l’altra sono gli scacchi), ma che si esaurì nel breve volgere di un quinquennio.
Il primo scatto venne pubblicato il 26 giugno 1945 e ritrae un edicolante affranto per la morte di Roosevelt, un’immagine che affascinerà cosi tanto gli editori di Look da offrire al fotografo dilettante la possibilità di entrare nello staff della rivista come fotoreporter.
Il “metodo Look”, caratterizzato da una narrazione a episodi, non incontrava il gradimento dei più importanti fotogiornalisti. I responsabili della rivista volevano che il soggetto fosse seguito costantemente, che venisse fotografato in tutto ciò che faceva. Questo stile invadente esercitava un grande fascino su Kubrick che amava creare delle storie partendo proprio da quelle foto. Per ottenere dai personaggi pose che fossero più naturali possibili, Kubrick metteva in atto una serie di stratagemmi per passare inosservato. Uno di questi consisteva nel nascondere il cavo della macchina fotografica sotto la manica della giacca e nell’azionare l’otturatore con un interruttore nascosto nel palmo della mano. Negli interni cercava di sfruttare il più possibile la luce naturale agendo opportunamente sul tempo di esposizione e sull’apertura del diaframma. Gran parte del senso estetico che ritroviamo nei suoi film veniva già espresso dal suo lavoro di questi anni. Anche ricorrendo a tecniche e punti di vista particolari e mantenendo sempre un certo distacco, Kubrick riesce a far trapelare l’aspetto psicologico dei soggetti ritratti, permettendo così all’osservatore delle foto di costruire una personale interpretazione del carattere delle persone riprese.
“Nascono così le prime fotografie di Stanley Kubrick, realizzate nell’America dell’immediato dopoguerra, che sorprendono poiché non si limitano alla rappresentazione di un’epoca, come ci si potrebbe aspettare da un fotoreporter. Infatti le sue istantanee – sottolinea il curatore Rainer Crone -, che stupiscono per la loro sorprendente maturità, non possono essere considerate come archivi visivi della gioia di vivere, catturata dallo spirito attento e pieno di humor di un giovane uomo, ma costituiscono un consapevole invito a confrontarsi con le risorse del mezzo fotografico, con le sue possibilità di rappresentazione e con la propria percezione della realtà: una costante dell’opera artistica di Kubrick che comincia con le fotografie e continua nei film”.
Il percorso espositivo si articola in due parti. La prima, divisa a sua volta in 7 sezioni, è introdotta da Icone, che raccoglie le immagini simbolo immortalate da Kubrick. Come Portogallo che racconterà il viaggio in terra lusitana di due americani nell’immediato dopoguerra, o ancora Crimini, che testimonierà l’arresto di due malviventi seguendo i movimenti dei poliziotti, le loro strategie, le loro furbizie, fino all’avvenuta cattura.
Betsy Furstenberg, protagonista della sezione a lei dedicata e che la rappresenta come il simbolo della vivace vita newyorkese di quegli anni, farà da contraltare alle vicende dei piccoli shoe shine, i lustrascarpe che si trovavano agli angoli delle strade di New York.
Chiudono questa prima parte le due sezioni dedicate alla vita che si svolgeva all’interno della Columbia University, un luogo d’élite dove l’America formava la classe dirigente del futuro, e all’interno del Campus Mooseheart nell’Illinois, una residenza universitaria, costruita da benefattori, per educare figli orfani di guerra che sarebbero andati a ingrossare le fila della middle class americana.
La seconda parte del percorso tocca altri argomenti significativi della breve carriera di Kubrick fotografo, come le immagini dedicate al giovane Montgomery Clift colto all’interno del suo appartamento, o quelle del pugile Rocky Graziano, che raccontano i momenti pubblici e privati di un eroe moderno, o ancora l’epopea dei musicisti dixieland di New Orleans.
Accompagna la mostra il catalogo di Giunti Arte mostre musei.
Redazione